Il mondo galleggia sopra tanti soldi. Mai nella storia, da oriente ad occidente, soprattutto nell’emisfero settentrionale, il livello di risorse finanziarie disponibili è stato così alto.
Il debito globale, calcolato tenendo assieme quello dei governi, delle imprese e delle persone (o famiglie), è arrivato a pesare il 260% del Prodotto interno lordo (Pil) mondiale. Era al 100% nel 1970: per ogni euro (o dollaro) di produzione di beni e servizi, c’era una quantità equivalente di indebitamento; oggi è oltre due volte e mezza. In termini assoluti parliamo di circa 166 trilioni di dollari di debito mondiale, ossia 145 mila miliardi di euro.
Come era facile aspettarsi, l’indebitamento è cresciuto molto negli ultimi anni, soprattutto quello dei governi. Che hanno attinto ai mercati finanziari per affrontare la crisi economica innescata dalla pandemia da Covid-19. In misura addirittura maggiore a quanto fecero per reagire alla “Grande Crisi Finanziaria” del 2008.
Ora il debito pubblico, quello dei governi, pesa da solo il 100% del Pil mondiale. Era dai tempi del dopoguerra (1945-50) che non si arrivava a simili valori.
Ma il sistema finanziario di oggi è molto diverso da allora. Infatti, la capacità degli stati di trasmettere all’economia reale le risorse raccolte indebitandosi è assai inferiore, mentre la concentrazione dei capitali è ben maggiore, dunque sono pochi - e grandi - i principali detentori di questo debito. Così, dove finisce questa ingente massa di denaro?
Una gran parte, in ciò che viene chiamato “speculazione”: l’80 per cento degli scambi sui mercati finanziari avviene con modalità automatiche ad alta frequenza, ossia transazioni che si aprono e chiudono nell’arco di pochi secondi, con una durata media di appena 81 microsecondi e una moda di soli 5-10 microsecondi, pari a meno di 1/10.000 del battito d’una palpebra. Tali scambi assorbono complessivamente la metà dei volumi transati, e si concentrano su pochissimi operatori (sei big ne gestiscono l’80 per cento).
E se la speculazione domina, i re dei mercati continuano ad essere gli investimenti in strumenti derivati, tornati a pesare per circa dieci volte il Pil mondiale (più o meno come ai tempi della Grande Crisi Finanziaria): circa 650 trilioni di dollari.
Insomma, in barba alle tante dichiarazioni sull’impact investing, la finanza insegue se stessa, per alimentare i suoi soliti canali, garantirsi guadagni più o meno facili e soprattutto rapidi. E si allarga la forbice tra il potenziale credito che si potrebbe destinare all’economia reale e quello effettivo: in Europa e Stati Uniti è ancora negativo (dal 2008) il gap tra il credito erogato e quello che servirebbe a sostenere il Pil.
Quando si investe in economia reale lo si fa - poco - alla ricerca dei mitici unicorni (cresce il flusso di risorse verso venture capital e private equity) o di nuovi eldorado (il boom delle criptovalute).
In tutto questo, che fanno le banche? hanno ancora capacità di sostegno all’economia?
E le fintech? il microcredito? la finanza d’impatto e il crowdfunding?
Sono vere risposte o solo effimere mode?
Ancora: le criptovalute possono svolgere un ruolo utile, in attesa che arrivi l’euro digitale?
La finanza sostenibile esiste veramente o è poco più di uno sberleffo alla società civile?
Da questi spunti nasce l’idea di Money 4 Nothing, un ciclo di incontri per conoscere cosa non va nella finanza e discutere insieme le soluzioni.
“Soldi per niente”, come cantavano nel 1985 i Dire Straits, con Sting al coro, annunciando al mondo il fenomeno di tutti coloro che vogliono fare soldi col nulla…anticipando di un anno il Mickey Rourke agente di cambio in Nove settimane e mezzo (“faccio soldi coi soldi”) e di due l’avido Gordon Gekko impersonato da Michael Douglas in Wall Street.
“Soldi per niente”, come rischia di essere oggi la finanza, se continua a perseguire la sua mostruosa ipertrofia autoreferenziale, ad allontanarsi dalle persone e dalle imprese, a finanziare attività dannose per l’ambiente.
Money 4 Nothing, dunque, per tornare ad occuparsi di finanza in dieci incontri, uno al mese, a partire dal 23 febbraio. Un ciclo di agili eventi organizzato da Impact Hub Roma, insieme ad AltrEconomia, Kritica economica, Sbilanciamoci!