La corruzione, le cooperative sociali e le soluzioni possibili

Gira un aneddoto in queste settimane di autoflagellazione cooperativa. Si dice che un noto “banchiere del terzo settore” abbia arringato una primaria convention di cooperatori con gli esempi delle migliori imprese sociali finanziate. Tra queste ne spiccava una, e il nostro si è speso perché tutti ne afferrassero bene nome e città di origine. Dopo due soli giorni, quel nome e quella città sono saliti alla ribalta delle cronache giudiziarie e, per una volta, il terzo settore si è trovato a provare infinita tenerezza nei confronti del rappresentante di una grande banca. L’avrete capito: l’esempio sfortunato riguardava la Cooperativa sociale 29 Giugno di Roma.


L’aneddoto sta girando vorticosamente perché di sorrisi (seppur amari) c’è bisogno. Ma le grandi questioni non si affrontano con l’aneddotica e le gravi colpe individuali nascondono sempre anche macchie, falle, inefficienze più grandi, che ci chiamano tutti in causa.

Vale anche per la vicenda #mafiacapitale. Che tocca tanti lati della vita pubblica nazionale: le profonde patologie della politica, la pervasiva corruzione dell’amministrazione pubblica italiana, quella storica, specifica, strutturale, del Comune di Roma, il grande paradosso imprenditoriale di una componente del terzo settore.

Concentriamoci su quest’ultimo punto.
La 29 Giugno è l’esempio perfetto del paradosso dell’impresa sociale che lavora in convenzione con gli enti pubblici. Dell’idea bislacca, cioè, che si è affermata nell’opinione pubblica - dalla politica ai media, dalle imprese alle banche, purtroppo anche in qualche università - che in un sistema di welfare grossolanamente “misto” come quello italiano i soggetti erogatori dei servizi possano trasformarsi in imprese accumulatrici di profitto, che fanno margini e investono. Una visione che non considera come vanno le cose tra pubblica amministrazione e cooperative sociali: appalti al massimo ribasso, progressive riduzioni delle basi d’asta negli anni (a parità di servizi), pagamenti in ritardo di 6-12 mesi, meccanismi di accreditamento formalistici e opaci che rendono oligarchici quelli che dovrebbero essere spazi competitivi, ciclo elettorale che condiziona fortemente la fattibilità di ogni nuovo progetto. In questo contesto economico e istituzionale opera la media delle cooperative sociali, tolte le poche aree di eccellenza amministrativa del Paese, dove comunque si è sempre alle prese con una coperta troppo corta.

La scommessa dell’ibridazione è ancora a portata di pochi. Quella della diversificazione (delle fonti e dei mercati) non è mai stata praticata soprattutto per problemi di cultura manageriale, mentre la miope e irragionevole committenza pubblica ha disincentivato ogni spinta all’innovazione. Come si può allora ritenere plausibile che una cooperativa sociale, che vive solo di committenze pubbliche, possa permettersi di finanziare campagne elettorali? con quali fondi? ottenuti come? da quali margini competitivi? Una concezione dell’impresa sociale ingenua o strumentale (scegliete voi).

E poi la governance. Uno dei principali presidi “di modello” della cooperazione è l’effettività della formula democratica. Ma se un presidente è tale da oltre vent’anni si può ancora parlare di vere cooperative? No, non si può.

Come uscirne? Rispetto alle tante soluzioni che riguardano in specifico la cooperazione, e di cui nella cooperazione si sta animatamente discutendo, merita enfasi una questione più generale e che riporta al tema della corruzione, piaga italiana. Manca la trasparenza sostanziale dei processi amministrativi. Ogni atto amministrativo, dalla nomina di una commissione di valutazione all’acquisto di una matita, dovrebbe essere efficace se e solo se inserito in una base dati unica e pubblicata su web, accessibile a tutti.  Nel 2015, un gioco da ragazzi. Serve solo  la volontà politica. “Solo”. Ne beneficerebbe la pubblica amministrazione, la democrazia, il terzo settore migliore, che non ha nessun interesse a nascondersi dietro anacronistici faldoni.



di Alessandro Messina
per VITA, gennaio 2015

Questo è l'ultimo articolo scritto per VITA nella rubrica "Profittevole", avviata nel luglio 2012