Finanza etica? Si ma senza trucchi

Strano il destino della finanza etica in Italia. Non ha ancora raggiunto neanche lontanamente le quote di mercato di altri paesi europei (Germania, Olanda, Inghilterra), che già si trova a difendere la propria identità. Sarà per gli appetiti insaziabili della finanza tradizionale, per la deriva valoriale e operativa di una parta del terzo settore, per la ricerca di spazi di consenso politico e associativo verso una società civile sempre più attenta al potere del denaro. 



Sta di fatto che Mag e Banca Etica sono consapevoli di dover rivendicare la propria specificità e di prendere le distanze da una generica “finanza buonista” che puzza troppo spesso di marketing o maquillage corporativo. Per questo si sono riunite nell’Associazione Finanza Etica, che chiede ai propri aderenti (da Manitese a Lunaria, dall’AIAB all’AIFO, oltre agli operatori di finanza alternativa) di sottoscrivere moralmente un vero e proprio Manifesto della Finanza Etica, in cui la parola partecipazione (del risparmiatore, del beneficiario dei fondi, di tutti gli stakeholders) è la chiave interpretativa di un nuovo modo di concepire le relazioni finanziarie. 

Per promuovere la cultura di una finanza dal basso, l’AFE organizza ogni anno a Bologna la Giornata nazionale della finanza etica e ha da pochi mesi pubblicato, insieme ad Altreconomia, un “Manuale del risparmiatore etico”. Che si rivela di questi tempi uno strumento fondamentale. Infatti, dai goffi tentativi delle banche tradizionali (si pensi al flop dei fondi “etici” del San Paolo di Torino), all’articolata strategia della Banca di Roma, con i suoi bracci armati Cosis e Alma Bank, il risparmiatore solidale deve stare più che all’erta. 

Quando in particolare quest’ultima creatura del colosso romano scenderà in campo con tutta la sua potenza di fuoco bisognerà sapersi orientare nella scelta. E tenere a mente che a qualsiasi operatore di finanza etica si deve chiedere massima trasparenza su tutto il circuito del denaro, quindi anche sulla provenienza dei capitali investiti, massima sobrietà nelle politiche commerciali, che non devono tendere a schiacciare la concorrenza ma ad informare correttamente i cittadini, massima coerenza sul complesso delle operazioni finanziate e i valori perseguiti con il comparto etico. E dunque anche, condizione minima, di “disarmare” tutti i propri investimenti. 

Banca di Roma, infatti, continua ad essere tra le banche italiane più esposte nell’export di armi senza che vi siano tracce di annunci di un’inversione di marcia. E Alma Bank, come finora Cosis, la sedicente finanziaria etica, vivrà grazie a questi soldi…

L’accoglienza per questi operatori, quindi, non può che essere freddina e sperare che col tempo ci si possa ricredere. Perché di finanza etica c’è bisogno. Ma è necessario vigilare perché la “moda dell’etica” non confonda il desiderio di giustizia (economica e sociale) di una finanza dal basso con gli appetiti mal celati di chi è abituato a scommettere sui tavoli dei casinò della speculazione più bieca. 


di Alessandro Messina
per Carta, Rubrica Affari Nostri, maggio 2002