Tempo di MacroCredito

La confusione regna nel nome del microcredito. Che non è beneficenza, altrimenti non può riprodurre i suoi effetti nel tempo. E che non è (solo) credito alle imprese, che invece dovrebbe essere il tipico lavoro delle banche.

Ma la grancassa mediatica della finanza sostenibile, che tutto prende, storpia e trasforma, per omologare cose molto diverse ai peggiori cliché di mercato, ha da tempo aggiunto al suo sapiente maquillage anche la nobile idea del piccolo credito di inclusione. Mentre la riforma del Testo unico bancario, che con l’articolo 111 avrebbe dovuto favorire lo sviluppo di operatori alternativi a quelli bancari, più attenti alla finanza di relazione e con modelli di intervento adeguati a superare le strettoie di Basilea 2 e dintorni, ha evidentemente fallito. 


Non è chiaro quanto i due fenomeni siano interconnessi e quanta consapevolezza ne abbiano le istituzioni, che dopo aver impiegato quattro anni per scrivere il decreto attuativo, hanno passivamente accettato la legittimazione di un ente di promozione dalla discutibile utilità e dalla ancora più opaca natura. 


Per di più, a seguito di questa serie di errori, il principale strumento agevolativo pubblico, la sezione dedicata del Fondo centrale di garanzia, è diventata più un’illusoria panacea per tutte le microimprese sempre più escluse dal credito bancario, che uno strumento di vero sviluppo, emancipazione e inclusione finanziaria di soggetti ai margini economici (e sociali). Sono i dati della Banca d’Italia a confermare che dal 2012 il credito alle piccole imprese (quelle con meno di 20 addetti) ha continuato a scendere. Complessivamente il credito alle imprese (tutte) in Italia si è contratto del 27% tra 2011 e 2019 (giugno), perdendo circa 267 miliardi di euro (Fedart, 2019).


Una tendenza che sembra destinata a perdurare, considerando la crescente concentrazione del mercato (-80% il numero di banche negli ultimi 20 anni, +35% l’attivo detenuto dai primi 5 gruppi negli ultimi 8 anni), la permanenza della fase di tassi piatti (che non rendono conveniente il credito), la pressione regolatoria fortemente asimmetrica sugli assorbimenti patrimoniali da credito rispetto a quelli da finanza. 


Un quadro che accomuna tutti i paesi europei, e infatti non va meglio in Spagna, dove nello stesso ottennio la concentrazione è cresciuta del 50%, il numero di intermediari si è ridotto di oltre il 40%, il credito è sceso più che in Italia, perdendo circa 600 miliardi di euro (Banco de Espana, 2019).


Insomma, più che tempo di microcredito sembra essere il tempo del macrocredito! Tempo di lavorare, e molto, per l’inclusione finanziaria. Tempo di finanza per lo sviluppo, delle persone e dell’economia virtuosa. È quello che Banca Etica fa da sempre: +60% gli impieghi tra 2014 e 2019, +8% nell’ultimo anno. Ed è quello che ancor meglio continueremo a fare insieme a PerMicro, vero operatore specializzato nel microcredito in Italia (e non è un 111!), insieme a CreSud, che da vent’anni opera nel campo della microfinanza nel sud del mondo, insieme ad Avanzi Etica Impact Fund, il nuovo strumento che lanciamo con Etica Sgr per intervenire nel capitale di rischio delle imprese sociali e di impatto. 


Queste sono le nuove partecipazioni del Gruppo Banca Etica, che arricchiscono la nostra capacità di intervento in coerenza con la missione, lo statuto e i principi della finanza etica. Perché di risorse per lo sviluppo c’è molto bisogno, in Italia come in Spagna, ed è nostro compito usare al meglio, in questa direzione, i risparmi che sempre più persone ci affidano.



Articolo apparso su BancaNote, rivista per le persone socie di Banca Etica