Le start-up a rischio bolla. Ma le cooperative son diverse

"Ora vi espongo la nostra idea. Ma non vi preoccupate, è stata elaborata da un gruppo di donne, alcune delle quali bionde: non sarà difficile comprenderla". Nell’affermazione c'è feroce ironia e solida coscienza di sé. A pronunciarla è Virginia, una delle socie di Ginger (www.ideaginger.it), cooperativa nata per promuovere il crowdfunding, visto non solo come metodo di raccolta fondi, ma anche - spiegano - in quanto test e occasione di messa a punto di prototipi e iniziative imprenditoriali.



Ginger è una start-up cooperativa. Innovativa per ciò che fa e per come lo fa. Come è (o dovrebbe essere) nella natura delle imprese cooperative, nate per risolvere i fallimenti di stato e mercato e dunque innovative per vocazione.



Da un paio d’anni le start-up sono al cento dell’agenda politica e dell’attenzione dei grandi media. In quanto possibili portatrici di nuova occupazione, una specie di certificazione della rassegnazione che connota le politiche pubbliche per il lavoro, e in quanto - c’è da augurarsi - potenziale bacino di creatività positiva in grado di rigenerare le nostre capacità di intervento in ambito tecnologico e sociale.



Insomma, ci affidiamo alle start-up non solo per creare quel lavoro che non c’è ma anche - soprattutto - per uscire da questa crisi di modello e trovare nuovi paradigmi di sviluppo. Tra convegnistica, assenza di alternative e qualche spicciolo pubblico buttato qua e là, il fenomeno start-up è in piena bolla.



Comprensibile, pertanto, che il mondo della cooperazione si interroghi su quale debba essere il proprio ruolo dentro queste tendenze, a partire dal grado di incidenza di imprese cooperative tra le nuove attività e in relazione a quanto sembrerebbe intuitivo attendersi in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo.



Ogni anno le nuove imprese sono circa 3-400 mila. Quasi altrettante ne chiudono. Il saldo netto ogni 12 mesi è intorno alle 3 mila imprese. Quest’anno, un terzo delle nuove nate è stato avviato da under 35. Per più della metà dei casi sono ditte individuali, partite con meno di 5 mila euro. Autoimpiego, o giù di lì. Siamo nell’ambito della microimpresa da sistema economico informale (e spesso solo di fenomeno di emersione si tratta).



Di quante, tra queste, siano le cooperative non v’è certezza, dalle fonti ufficiali. Sappiamo però che nell’ultimo decennio il loro numero è aumentato in media di circa mille l’anno. Dunque, un terzo del saldo netto (tra nuove e cessate) del totale imprese è rappresentato da cooperative.

Che forse nascono un po’ meno frequentemente, ma hanno anche una “vita attesa” maggiore.



Sono dati rilevanti, da tenere in considerazione. Così come va considerato che delle 1365 start-up innovative nate in meno di un anno, solo 22 hanno la forma cooperativa. Non necessariamente un segnale di debolezza della soluzione cooperativa. Forse, più chiaramente, il segno di una distorsione nella genesi della legge, tutta concentrata sulle società di capitali (nella prima versione che circolò la forma cooperativa non era prevista).



D’altra parte, è essenziale non banalizzare il processo di start-up cooperativi, che è anche - deve esserlo - cultura imprenditoriale originale, pensiero economico eterodosso. Proprio per contribuire all’innovazione dei modelli, dei processi, dei mercati. E per alimentare trasformazione sociale.



Così ben venga l’attenzione per le start-up da parte di chi ha la responsabilità di rappresentare e promuovere il movimento cooperativo. Che può fare molto perché questa non sia solo una bolla. Serve un presidio dei luoghi dell’innovazione giovanile, senza paura di contaminarsi (e farsi contaminare). E cruciale può rivelarsi il ruolo dei fondi mutualistici. Che possono svolgere quella funzione di “micro venture & social capital” oggi totalmente assente dal mercato nazionale.



Qualcuno vive le start-up come un gratta e vinci. Le cooperative sono diverse. Possono dare molto alla rigenerazione dell’economia nazionale. Come direbbe Virginia, lo capiscono pure lo bionde.






di Alessandro Messina (@msslsn)





in Profittevole, rubrica per Vita


dicembre 2013