Pubblica amministrazione e finanza etica

La finanza etica deve sempre essere dal basso? Può essere promossa dalla pubblica amministrazione (PA)? In una fase in cui Tremonti taglia altri 1,8 mld di euro agli enti locali, la domanda non è solo accademica ma può rispondere all’esigenza di utilizzare al meglio le sempre minori risorse, anche trasformando i contributi a fondo perduto in prestiti. 


Le precedenti esperienze gestite dalla PA non sono andate bene: il prestito d’onore è stato spesso un fallimento (Comune di Roma) e - anche lì dove ha dato buoni risultati (Emilia Romagna) - la performance è stata inferiore a quella degli interventi delle Mag. Ciò è dovuto alla difficoltà dei funzionari pubblici di metabolizzare le idee chiave della finanza etica: responsabilizzazione dell’individuo, accompagnamento, costruzione della rete sociale. 

Troppo spesso si preferisce tornare a vecchie logiche assistenziali. Lo conferma anche Piero Forosetti del Fondo Essere, promosso dalla Regione Toscana insieme ad una rete di associazioni locali: «non di rado ci viene chiesto di usare i fondi per aiutare chi non può pagare le bollette o l’affitto. E’ chiaro che si tratta di alte priorità, ma la filosofia del fondo è un’altra». 

Il Fondo, alimentato da soldi pubblici e donazioni, ammonta oggi a circa 50 mila euro ed ha già effettuato 43 prestiti. Si tratta di un’esperienza da seguire, da cui tutti gli attori possono imparare qualcosa, nella consapevolezza che il successo dipenderà in gran parte dalla PA, che tende a deviare dai percorsi della finanza etica, confondendola con la beneficenza.


di Alessandro Messina
per Carta, Rubrica Affari Nostri, ottobre 2003