Terzo settore al bivio

A prescindere da come la si pensi su Genova e sulla marcia per la pace, una cosa sembra certa. Che il ruolo e l'identità del terzo settore non possono più essere quelli di prima. Quell'insieme di organizzazioni, associazioni, cooperative che nascevano dai movimenti degli anni '70 e '80 e che negli ultimi dieci anni hanno consolidato una presenza crescente di tipo economico e politico, non possono più restare a cavallo tra spinte sociali ormai sopite e l'ammiccamento nei confronti dei mercati e delle istituzioni. Il terzo settore, per quanto questo termine significhi qualcosa, deve scegliere se rappresentare il lato più organizzato, strutturato, ma comunque radicale e alternativo, del movimento oppure appiattirsi su un profilo para-istituzionale o, peggio ancora, corporativo e mercantilista.

Si è da poco chiuso il primo Censimento delle istituzioni nonprofit (così l'Istat definisce le organizzazioni senza scopo di lucro), i cui risultati forniscono una fotografia finalmente chiara, esaustiva e rigorosa di ciò che viene comunemente chiamato terzo settore. Delle 220 mila organizzazioni censite veniamo così a sapere il tipo di attività principale e secondaria, le dimensioni economiche, gli occupati e i volontari, la forma legale scelta e le fonti di finanziamento.

Si tratta di informazioni determinanti per interpretare un fenomeno espressione di forti tensioni politiche e oggetto di diverse tentazioni economiche. Dare i numeri (almeno in parte) può, dunque, essere utile al ragionamento.



di Alessandro Messina

per Lo straniero, rivista diretta da Goffredo Fofi, www.lostraniero.net, novembre 2001