Il terzo settore tra welfare state e lavori scelti

Dalla rivoluzione industriale in poi, con la nascita di quella scienza sociale che ha preso il nome di economia, tutte le teorie ed i ragionamenti riguardanti la produzione e la trasformazione dei beni e dei servizi sono partite da un approccio utilitaristico, basato sui principi della massimizzazione della soddisfazione individuale identificata generalmente con il profitto. Equilibri nella competizione tra soggetti antagonisti, determinati da meccanismi che si presumono autoregolanti (la cosiddetta mano invisibile), caratterizzano in questo contesto tutti i modelli economici. Si definisce così il mercato, che, luogo principe deputato allo scambio di beni e servizi tra imprese e consumatori, possiamo considerare il primo settore analizzato dal pensiero economico. 

Nel corso della storia dell’ultimo secolo, poi, numerosi studiosi e policy makers hano dovuto affrontare la difficoltà del mercato di garantire soddisfazione per determinate tipologie di bisogni ed hanno dovuto inoltre preoccuparsi di frenare quelli che Keynes chiamava gli animal spirits - non sempre portatori di efficienza allocativa e distributiva -, arrivando a teorizzare la necessità di un intervento pubblico nell’economia e contribuendo così alla nascita dello Stato quale attore economico. L’insieme delle azioni condotte in questo contesto hanno creato una cornice economica che, soprattutto nei paesi europei, ha assunto dimensioni rilevanti sia per quantità (dimensioni dell’intervento pubblico rispetto a quello privato) sia per qualità (nuove teorie e modelli di comportamento), definendo ciò che, in antitesi al mercato, può essere chiamato secondo settore.



di Alessandro Messina

articolo per “Affari sociali internazionali”, giugno 1998