La finanza che produce un impatto positivo su
economia e società non ha bisogno necessariamente di grandi capitali, di sofisticazioni
tecniche, di guru globali. Soprattutto
se ha le idee chiare, una visione limpida del proprio scopo, sa scegliere i
partner e creare relazioni di lungo termine.
Questa è un po’ la storia di CreSud, che compie nel
2014 i suoi 15 anni di attività. Un progetto anomalo, per il panorama italiano,
dove il capitalismo illuminato è scarso ed ancor meno presente nell’imprenditoria
sociale. CreSud nasce infatti nel 1999 dal tanto fortunato quanto imprevedibile
incontro tra una bibita popolare degli anni ’50, un nipote che qualche decennio
dopo ne eredita i proventi, e la sua propensione a ciò che oggi chiameremmo social business: realizzare attività
economica e far lavorare le persone, in modo sostenibile (senza rimetterci) ma
non speculativo. Il tutto condito da una forte sensibilità per ciò che un tempo
chiamavamo “terzo mondo” e per quello che gli economisti definivano scambio
inuguale, cioè il flusso di risorse che dai paesi del Sud si dirige verso il
Nord. Come invertire quel flusso? prestando denaro alle micro-finance institutions (MFI), società di microcredito operanti in
quei paesi, o ai produttori associati in cooperativa. Sboccia così CreSud, una
finanziaria dedicata al terzo mondo, che trova un alleato naturale nel sistema
CTM Altromercato, entrato come socio di minoranza fin dagli esordi.
All’inizio
la società lavora prevalentemente con l’America Latina: prestiti di cento o
duecentomila dollari ciascuno (ora si arriva fino a 500), a 3 anni, con rate di
rientro semestrali. Il capitale sociale è passato negli anni da un miliardo di
lire, a un milione e poi a un milione e mezzo di euro. A fronte di questi
capitali è stato possibile emettere obbligazioni (sempre a tre anni, emissioni
annuali a tassi tra 1,5 e 3,5%) sottoscritte da associazioni, cooperative,
persone. In 15 anni si sono concluse più di 110 operazioni di prestito verso 60
MFI. Oggi l’esposizione complessiva è pari a circa 3,5 milioni di euro
suddivisi tra 25 clienti.
Quando
qualche cliente ha avuto difficoltà, CreSud ha aspettato, non ha fatto venire
meno il suo appoggio nel momento più difficile, fino a restaurare la capacità
di restituzione del prestito. E quando qualche quota è andata persa, erano
state accantonate risorse sufficienti ad ammortizzarla.
Nulla
di nuovo. È la storia di successo del sistema microcredito nel Sud del mondo: dagli
8 milioni di utenti del 1997 ai circa 150 milioni oggi, a dimostrazione della
completa sostenibilità economica delle MFI. Alcune delle quali, tra le più
note, sono nate proprio grazie a CreSud. Come Proempresa in Perù, legata al sistema IDESI, cui CreSud versò quasi
un terzo del capitale iniziale (un paio di milioni di euro), ed oggi ha 90 milioni
di dollari di portafoglio e può raccogliere risparmio. Oppure il sistema SPBD, in Oceania, che ha iniziato con
poche centinaia di utenti a Samoa e ora si è espansa a Tonga, Fiji, nelle isole
Salomon. Una storia globale.
Con
qualche anomalia italiana. Su cui prima o poi dovremo riflettere sul serio. Perché,
come tante altre belle esperienze e casi pregevoli di impresa sociale che
nascono nel nostro paese, anche CreSud è rimasta isolata, la sua formula non ha
contagiato i tanti soggetti che lavorano nell’ambito della cooperazione allo sviluppo
o della finanza etica. E così la scalabilità del progetto, la possibilità di
raccogliere 10-20 volte le cifre citate, che pure sarebbe a portata di mano, è
rimasta inesplorata. Problema di cultura imprenditoriale del terzo settore,
debolezza delle istituzioni, attitudine perversa ad una carità un po’ pelosa:
questi i fattori che continuano a depotenziare i risultati di chi con
competenza e abilità in Italia fa social
business.
Come
CreSud. Che compie 15 anni. Di impatto.
E si merita tutti i nostri auguri.
di Alessandro Messina
per VITA, ottobre 2014