«La teoria,
secondo la quale gli uomini possono e devono cercare la loro felicità nel
disprezzo dei bisogni degli altri, trionfa oggi su tutta la linea, nel diritto,
nella scienza, nella religione. È la religione del giorno, e dubitare della sua
efficacia è essere un pericoloso utopista. La scienza proclama che la lotta di
ciascuno contro tutti è il principio dominante della natura, come delle società
umane. La biologia attribuisce a questa lotta l’evoluzione progressiva del
mondo animale. La storia adotta il medesimo punto di vista, e gli economisti,
nella loro candida ignoranza, attribuiscono tutto il progresso dell’industria e
della meccanica moderna ai “meravigliosi effetti” dello stesso principio».
Sono parole del
filosofo anarchico Pëtr Kropotkin, del 1902.
Il suo obiettivo era dimostrare
quanto il “mutuo appoggio” sia comportamento naturale per le comunità umane. E
quanto fosse fallace l’ideologia capitalista che utilizzava - in modo errato e
strumentale - le novità scientifiche introdotte dall’incolpevole Charles Darwin
a proposito dell’evoluzione della specie per giustificare una società ingiusta,
basata sulla sopraffazione dei più deboli.
Dopo 112 anni,
il pensiero economico e sociale non sembra aver poi fatto così tanti progressi.
O meglio: si osservano oggi dei preoccupanti regressi. Non vi sono dubbi,
infatti, sull’effettivo avanzamento dei modelli sociali che si affermarono
nelle democrazie europee durante la seconda metà del novecento, secolo che vide
la nascita del welfare state. Fu
infatti tra la conflittualità sociale nelle grandi città industrializzate, la
crisi del ’29 e le macerie della seconda guerra mondiale che si sviluppò un
progressivo consenso circa l’opportunità di interventi pubblici nell’offerta ai
cittadini di servizi sanitari e assistenziali.
Oggi tutto questo viene
profondamente messo in discussione. Con la scusa della crisi fiscale degli
stati, grezza argomentazione usata dal capitalismo, nel frattempo trasformatosi
da industriale a finanziario, per affermare la “nuova” ideologia
dell’individualismo galoppante.
Quali argini
porre a questo processo di destrutturazione del welfare e alla mercificazione dei
valori posti dai padri costituenti alla base della convivenza civile? Le
democrazie sono in crisi. La politica è diventata affarismo. Ecco allora rispuntare
il mutualismo. Ancora moderno, capace di tradurre i solidi valori di sempre
nelle esigenze mutevoli della nostra società complessa e in trasformazione.
Un
mutualismo vivo e vitale, che viene raccontato in modo efficace e chiaro da
Bruno Cassola nel suo “Il welfare di comunità”, edito da Ecra. Cassola lavora
per il Credito Cooperativo ed è nel consiglio di amministrazione della Mag di
Roma. Insomma, pratica ogni giorno il mutualismo finanziario e in questo volume
si è dedicato a quello sanitario, in particolare alla sua piccola, ma
crescente, componente promossa dalle Banche di Credito Cooperativo.
Descrivendo
prima il panorama delle 1.450 mutue operanti in Italia, che servono diversi
milioni di associati, Cassola si sofferma dunque sulle 40 BCC che hanno
attivato progetti nel settore, il 75% delle quali nel Centro-Nord, e con un’utenza
di oltre 200 mila soci. Le BCC vedono il mutualismo sanitario come naturale
completamento della propria offerta di mutualità finanziaria ai soci. Cassola ne
descrive le caratteristiche, il modello di funzionamento, le motivazioni
(attuali, assai attuali: l’85% delle iniziative ha meno di 15 anni).
Il mutualismo torna. Con
sorpresa di qualcuno, forse, non certo del vecchio Kropotkin, che 23 lustri fa scriveva: «il nocciolo d’istituzioni, di abitudini e di costumi di mutuo
appoggio resta vivo tra i milioni d’uomini di cui si compongono le masse; li
mantiene uniti; ed essi preferiscono attenersi ai loro costumi, alle loro
credenze, alle loro tradizioni, piuttosto che accettare la dottrina di una
guerra di ciascuno contro tutti, che loro si presenta sotto il nome di scienza,
ma che non è affatto scienza».
di Alessandro Messina
per VITA, settembre 2014