Riflessioni in merito all'ipotesi di riforma del terzo settore

Scade oggi (13 giugno 2014) il termine per inviare al Governo commenti sulle Linee Guida di Riforma del Terzo Settore. Ecco alcune riflessioni.

Anche sul nonprofit Matteo Renzi conferma le sue principali caratteristiche.
La consultazione avviata per una riforma del cosiddetto terzo settore[1] ha indubbiamente dei meriti: rimette lo sviluppo delle organizzazioni senza scopo di lucro al centro della riflessione politica dopo oltre un decennio di oblio, e lo fa con un piglio riformista che non si vedeva dai tempi del primo governo guidato da  Romano Prodi (1996) e dalla riforma dell'assistenza sociale firmata da Livia Turco (2000)[2].


Ma, altro tratto distintivo del nostro premier, il tutto sembra essere tanto veloce quanto evanescente, con un’estrema superficialità della forma, che si auspica non ne celi altrettanta nell’affrontare la sostanza dei problemi. 


Partiamo dalla forma: il “come” non è mai materia secondaria in un processo politico e amministrativo, diventa poi di particolare importanza quando si lancia pubblicamente un ambizioso “Civil Act”, facendo intendere di voler chiamare a raccolta la società civile per selezionare idee, buone pratiche, suggerimenti degli addetti ai lavori. Qui già c'è la prima delusione: nel 2014 una consultazione pubblica che non si basi su un articolato definito ma su dei principi guida, delle enunciazioni generali e generiche, quale è il testo pubblicato dal Governo, non può essere realizzata semplicemente mettendo a disposizione una casella di posta elettronica a cui scrivere. Si trasferiscono così sulla consultazione significativi problemi di metodo ed efficacia nella gestione dei contenuti: chi leggerà ogni singola email? chi ne tradurrà in termini statisticamente aggregabili i messaggi? chi garantirà che in questo processo non si annacquino contributi specialistici, tecnici, inevitabilmente multidisciplinari in una materia tanto vasta? 

Sono solo alcune delle domande che si sarebbero potute evitare utilizzando modalità di rilevazione delle preferenze dei cittadini ormai affermate ed assai più sofisticate, funzionali ed efficaci. Modalità che, tra l'altro, la Presidenza del Consiglio dei Ministri conosce bene, avendole utilizzate in diverse occasioni con la piattaforma partecipa.gov.it[3]. E' evidente che lo strumento tecnologico non è risolutivo in sé, e neanche fornisce garanzie sulle buone intenzioni di chi lo adotta, ma ignorare ciò che è a disposizione e preferire una conformazione della consultazione buona un decennio fa certo non favorisce la credibilità dell'intero processo. 


Veniamo ora alla sostanza del documento posto in consultazione.

Come detto, non si tratta di un testo di legge, di un articolato tecnico, ma di una vaga e generica enunciazione di obiettivi, condita da molte affermazioni di principio, e qualche errore tecnico[4].

Le questioni da enfatizzare, in estrema sintesi, sono le seguenti:


- definire un assetto organico della normativa: ottimo, in tanti lo chiedono da tempo. Va fatto però avendo bene in mente i tanti “terzi settori” che compongono il comparto. Ricordando cioè che, dati Istat, l’82% delle risorse economiche è in mano al 5% delle organizzazioni, e che meno del 7% degli occupati si trova nel settore cultura, ricreazione e sport, che invece rappresenta il 65% delle istituzioni. Sparare nel mucchio, dunque, serve a poco;


- sviluppare il potenziale di crescita: bene, se ci si mette d’accordo sulla premessa. Cerchiamo una crescita netta o sostitutiva? L’incremento dell’occupazione degli ultimi dieci anni nelle istituzioni nonprofit (31% al netto di effetti di tipo statistico) è stato quasi interamente guidato da un travaso di posti di lavoro dalla pubblica amministrazione, in particolare nei comparti nevralgici del welfare (assistenza, scuola, sanità)[5]. Le vere potenzialità di sviluppo “netto” (aggiuntivo) del terzo settore sono fuori da questo ambito, in quei rami di attività dove può essere reale l’innovazione e lo Stato non è presente (e non lo sarà di certo in futuro): nell’ambiente, nella cultura, nel turismo e nel consumo responsabile, ecc.;


- far decollare l’impresa sociale: qui entrerà in pista la proposta Bobba-Lepri, di cui già si è scritto[6]. Certamente, se inserito in un contesto organico di riforma, il testo potrà guadagnare efficacia e superare alcune delle attuali criticità. Resta la questione dirimente di un approccio radicale all’imprenditorialità sociale: se tutto ciò che è “minimamente” economico deve essere equiparato all’impresa, si rischia veramente di uccidere in culla tanti esperimenti di “economia alternativa”. C’è da augurarsi che si stemperi questa visione, lasciando lo spazio - tra il puro volontariato e l’impresa sociale vera e propria - per una zona di “sperimentazione” di pratiche economiche alternative, orizzontali, di auto-organizzazione;


- promuovere una finanza dedicata alle imprese sociali: qui serve comprendere bene cosa già c’è e cosa manca. Il credito, bene o male, c’è. Va reso meno penalizzante per le banche, che quando prestano 100 euro ad una nonprofit - di fatto meno rischiosa - devono accantonare un 33% di capitale in più rispetto ad una microimpresa o ad una persona fisica. E’ un’anomalia regolamentare tutta italiana che va eliminata quanto prima. Già così si libererebbero 2-3 miliardi di euro di credito in più. Ciò che manca è l’equity, il capitale “di rischio”, che sia paziente, non speculativo, se possibile aperto a processi partecipativi (dunque disposto a non egemonizzare le assemblee). Il lancio di un fondo pubblico a ciò orientato potrebbe fare da catalizzatore di risorse anche private;


- dare spazio all’innovazione finanziaria: le Linee guida citano il crowdfunding e non sembra un bene. Il caso dell’equity crowdfunding per le start-up innovative è emblematico: l’intervento regolamentare della Consob ha ucciso un mercato che nasceva, rimettendo in mano alle banche (che sembrano poco interessate) uno spazio che, grazie al web, investitori e imprenditori si erano costruiti su misura[7]. Ci si augura non accada lo stesso anche con le piattaforme che si occupano di prestiti peer-to-peer e di donazioni. Servirebbe piuttosto un sostegno a queste attività, nella forma di promozione, vetrina, infrastruttura comune, che possa aumentarne la visibilità e la sicurezza. Ed evitare di fare come con il microcredito, dove l’attesa - ormai prossima ai 4 anni - dei decreti attuativi ha letteralmente congelato un mercato dalle grandi potenzialità (si badi: anche per il noprofit, considerata l’ultima versione dell’articolo 111, comma 4, del Testo Unico Bancario), lasciando però libero di imperversare l’inutile e dannoso Ente nazionale per il microcredito[8].



Vedremo in che modo il Governo elaborerà e sintetizzerà gli esiti della consultazione. L’auspicio è che tutti i contributi siano resi pubblici e che il processo di valutazione e analisi sia ben più completo e rigoroso di quello di lancio. Nella forma e nella sostanza.




di Alessandro Messina



13 giugno 2014








[1]             Civil Act - Riforma del Terzo Settore: un nuovo Welfare partecipativo, in http://www.governo.it/governoinforma/dossier/terzo_settore_linee_guida/.

[2]             L'unico successivo intervento di rilievo, d'altronde, è stato quello sull'impresa sociale (d.l.vo 155/2006) del secondo Governo Berlusconi, intervento che non si è distinto né per qualità del dibattito in fase legislativa né per effetti della norma una volta emanata.

[3]     La piattaforma è stata realizzata dalla stessa Presidenza del Consiglio dei Ministri, Dipartimento della Funzione Pubblica, con il supporto di Agenzia per l'Italia Digitale e Formez, ed è stata utilizzata per la Consultazione pubblica sulle Riforme Costituzionali, quella sull'Agenda digitale, sul decreto cosiddetto Destinazione Italia e diverse altre.

[4] Ne citiamo una per tutte: il Governo italiano continua ad usare il termine no-profit al posto di nonprofit, nonostante l’Istat, i richiami di numerosi studiosi, la vasta letteratura disponibile (anche) sul web. No-profit significa fallimentare, insostenibile, economicamente inefficace. E’ così che Renzi vede il terzo settore? Come filantropia pura? Compassionevole? C’è da augurarsi di no. E che, pertanto, si aggiorni il testo con la giusta denominazione nonprofit (senza scopo di lucro).

[5] Principali risultati del Censimento. Censimento dell’industria e dei servizi 2011, Andrea Mancini, 11 luglio 2013, in www.istat.it.


[7] E la Consob affossa il crowdfunding, maggio 2013, in http://alemessina.blogspot.it/2013/06/e-la-consob-affossa-il-crowdfunding.html.


[8] Il microcredito non ha bisogno di enti inutili, novembre 2013, in http://alemessina.blogspot.it/2013/01/il-microcredito-non-ha-bisogno-di-enti.html.