I fondi
strutturali, ossia i finanziamenti che arrivano in Italia grazie alle politiche
di coesione dell’Unione europea, sono una grande risorsa. Che il nostro paese
ha la triste e meritata fama di usare poco e male. Assai peggio di come sanno fare
– solo per restare nell’ambito dei cosiddetti “PIIGS”, si perdoni l’espressione
– Portogallo, Spagna, Irlanda, paesi che han dimostrato anche una capacità di
lobby su Bruxelles ben più efficace di quella prodotta dalla nostra pur
sovra-remunerata rappresentanza politica.
Ma dopo questa
nota di doverosa autocritica occorre riconoscere che sono pochi gli stati
membri che si sono dotati di un formidabile strumento di trasparenza (dunque
programmazione e controllo) come quello realizzato dal nostro governo grazie al
pragmatismo e alla determinazione dell’ex ministro Fabrizio Barca e alle
abilità di quel manipolo di geniali informatici devoti alla causa della
partecipazione di Openpolis.
Si tratta della
piattaforma opencoesione.gov.it. Che
monitora il 65% delle risorse complessive della programmazione 2007-2013: 64
miliardi di euro sui 99 totali. E che consente di navigare con sorprendere
facilità e altrettanta efficacia su ogni singolo progetto (sono 679 mila),
scandagliando ciò che ha realizzato ciascuno tra i 65 mila soggetti attuatori o
programmatori, oppure quante risorse sono andate ad uno specifico territorio e
come sono state spese.
Scopriamo così
che i progetti più numerosi riguardano l’inclusione sociale (sono 248 mila,
pari al 37% del totale) ma che ad essi vanno solo il 5,6% delle risorse. Che ai
trasporti sono stati destinati oltre 17 miliardi di euro (27%), che gli ambiti
più finanziati, a seguire, sono ricerca e innovazione (14%, con finanziamento
per soggetto coinvolto superiore ai 600 mila euro), ambiente (12%, e una cifra
pro-capite di 5,9 milioni di euro), istruzione (11% e 380 mila euro a testa),
occupazione (9% e 290 mila euro per soggetto).
Si osserva una
forte eterogeneità, in funzione degli ambiti di intervento, nel livello di
concentrazione dei soggetti rispetto ai progetti attuati, con qualche sorpresa:
se infatti può apparire comprensibile che i 908 progetti nel campo dei
trasporti, che in media ricevono 19 milioni ciascuno, siano appannaggio di soli
314 soggetti, stupisce che nel campo dell’inclusione sociale, dove certo non
mancano i potenziali protagonisti, siano “solo” 3 mila i soggetti coinvolti,
attivi per una media di 73 progetti a testa e che, a fronte di un finanziamento
medio dei progetti di soli 14 mila euro, sommano introiti per oltre un milione
di euro ciascuno.
Insomma, mentre in media sono 10 i progetti in cui ciascun
soggetto è coinvolto, con diversi ambiti in cui tale valore non supera i 5
(ricerca e innovazione, competitività imprese, agenda digitale, energia,
cultura e turismo, ambiente, città e aree rurali, oltre ai già citati
trasporti), nel campo dell’inclusione sociale vi è una situazione di bassa
concorrenza che merita qualche riflessione.
Anche perché,
come è facile immaginare, è proprio questa una delle aree di utilizzo dei fondi
strutturali in cui risulta maggiore la presenza di organizzazioni nonprofit tra
i soggetti attuatori. Che in media rappresentano il 7,7% degli operatori, ma
che assumono particolare peso nei settori dell’infanzia e degli anziani (24%),
dell’occupazione (12%), e appunto dell’inclusione sociale (20%).
Nonprofit significa
associazioni e comitati nel 23% dei casi, cooperative e imprese sociali nel
58%, fondazioni e consorzi nel 19%. Il peso relativo delle cooperative è
cruciale e cresce nei settori delle imprese (72%), del digitale (76%),
dell’energia e delle città (67%). E’ meno forte nei settori a minore
concorrenza. Il che – data la maggiore numerosità delle associazioni –
evidenzia quanti spazi di manovra vi siano per migliorare l’accesso a queste
preziose risorse per il nonprofit. E, se ne deduce, per aumentare l’efficacia
complessiva degli interventi finanziati dai fondi strutturali.
di Alessandro Messina (@msslsn)
in Profittevole, rubrica per Vita
ottobre 2013