La
corruzione nel nostro paese è a livelli mastodontici e può crescere ancora, se
non si contrasta in modo netto, senza mediazioni, con volontà politica concreta,
al di là delle parole.
È possibile avanzare una stima, per quanto grezza e
approssimativa, dei costi economici della corruzione. Secondo la World Bank,
nel mondo si pagano ogni anno più di 1.000 miliardi di dollari di tangenti e va
sprecato, a causa della corruzione, circa il 3% del Pil mondiale. Applicando
questa percentuale all’Italia, si calcola che annualmente l’onere sui bilanci
pubblici è nella misura di 50-60 miliardi di euro l’anno, una vera e propria
tassa immorale e occulta pagata con i soldi prelevati dalle tasche dei
cittadini.
Ma si può andare oltre: il peggioramento di un punto dell’Indice di
percezione della corruzione (Cpi) in un campione di paesi determina una
riduzione annua del Pil pari allo 0,39% e del reddito procapite pari allo 0,41%
e riduce la produttività del 4% rispetto al Pil. Dal momento che l’Italia nel
decennio 2001- 2011 ha visto un crollo del proprio punteggio nel Cpi da 5,5 a 3,9,
si stima una perdita di ricchezza causata dalla corruzione pari a circa 10
miliardi di euro annui in termini di Prodotto interno lordo, circa 170 euro
annui di reddito procapite ed oltre il 6% in termini di produttività.
Ma se il
costo diretto della corruzione, stimato all’incirca in 60 miliardi di euro, è
un fardello pesante per i disastrati bilanci dello Stato, ancora più allarmanti
sono i danni politici, sociali e ambientali: la delegittimazione delle
istituzioni e della classe politica, il segnale di degrado del tessuto morale
della classe dirigente, l’affermarsi di meccanismi di selezione che premiano
corrotti e corruttori nelle carriere economiche, politiche, burocratiche, il
dilagare dell’ecomafia, attraverso fenomeni come i traffici di rifiuti e il
ciclo illegale del cemento, che si alimentano quasi sempre anche grazie alla
connivenza della cosiddetta “zona grigia”, fatta di colletti bianchi, tecnici
compiacenti, politici corrotti.
È particolarmente significativo il dato
relativo alle esperienze personali di tangenti, ossia alla corruzione vissuta
sulla propria pelle dai cittadini dei 27 Paesi dell’Unione Europea. Nell’ultima
rivelazione di Eurobarometro 2011, il 12% dei cittadini italiani si è visto
chiedere una tangente nei 12 mesi precedenti, contro una media europea dell’8%.
In termini assoluti,
questo significa il coinvolgimento personale, nel corso di quell’anno, di circa
4 milioni e mezzo di cittadini italiani in almeno una richiesta, più o meno
velata, di tangenti. Una Tangentopoli infinita, che cambia aspetto e si
rigenera anno dopo anno. Che non scava soltanto voragini nei bilanci pubblici,
ma genera un pericoloso deficit di democrazia e devasta l’ambiente in cui
viviamo. La corruzione ci ruba il futuro, in tutti i sensi. Una mega tassa
occulta che impoverisce il paese sul piano economico, politico, culturale e
ambientale. Un male che comporta rischi per la credibilità della nostra economia,
per la tenuta della nostra immagine all’estero, per gli investimenti nel nostro
Paese e che crea disuguaglianze, massacra le politiche sociali, avvelena l’ambiente,
tiene in ostaggio la democrazia, inquina l’economia.
In alcuni appalti la
rendita della corruzione è pari al 40-50% del prezzo pagato per opere
pubbliche, servizi o forniture, in altri persino superiore. È naturale che le
probabilità di corruzione aumentino quanto meno trasparente risulta l’esercizio
del potere pubblico, meno incisivi i controlli. L’economia sommersa e l’economia
criminale – che in Italia prosperano sotto l’occhio attento e vigile delle
tante mafie – possono assumere i livelli che toccano nel nostro paese solo
grazie alla forte, costante, rinnovata connivenza di fette consistenti dell’apparato
pubblico. Che in Italia è grande (pesa ancora per quasi la metà del Pil) e
tocca – almeno sulla carta – quasi ogni ambito della vita economica e sociale.
Non c’è iniziativa privata, imprenditoriale o meno, che non passi per un
ufficio pubblico. Ed è in questo ampio volume di micro- transazioni quotidiane
che nascono i problemi. La classe politica, tutta, appare di gran lunga
inadeguata ad affrontare il problema con la risolutezza necessaria. E non solo,
si noti, perché connivente. Non tutta per fortuna lo è.
La corruzione è un
fenomeno strutturale e richiede risposte strutturali. Non è materia di leggi, di
cui il nostro ordinamento è pieno, ma di procedure e controlli. Non è materia
parlamentare ma di apparato. Una proposta per tutte, allora: dematerializzare tutti
gli atti amministrativi. Un atto amministrativo qualunque, dal rilascio della
carta d’identità all’affidamento di un servizio, perfino la singola lettera,
non ha valore se non è pubblicato e disponibile sul web attraverso motori di
ricerca a tutti accessibili. Succede in tanti paesi europei, i più evoluti. In
Italia sarebbe la vera rivoluzione. La lotta alla corruzione, allora,
diverrebbe credibile.
di Alessandro Messina
in RAPPORTO SBILANCIAMOCI! 2013. Come usare la spesa pubblica per i diritti, la pace, l’ambiente
il rapporto per intero è scaricabile qui.