Intervenuto come
di rito alla recente assemblea dell’ABI, il Governatore della Banca d’Italia
Ignazio Visco ha ricordato la “brusca” riduzione dell’offerta di credito che si
è registrata sui mercati a fine 2011. Riduzione
che si misura con quel 33% di imprese che hanno richiesto credito ed hanno
ottenuto un rifiuto o una risposta insoddisfacente.
C’è allora da
chiedersi cosa accade al terzo settore in questi tempi di magra. Ebbene, i dati
sembrano fornire risposte positive. Da prendere con cautela, perché nelle
statistiche ufficiali, anche creditizie, il nonprofit continua ad essere una
cenerentola, ma comunque rivelatori di tendenze non banali.
Il primo dato, e
non potrebbe essere altrimenti, è la variazione degli impieghi tra 2010 e 2011.
La media generale del settore bancario è pari a +1,9%. Ma come tutte le medie
contiene tante differenze: con riferimento agli attori del mondo bancario, ad
esempio, si va dal -0,4% delle principali banche, al +2,5% delle Banche di
Credito Cooperativo.
Così come differenze vi sono nell’andamento del credito
tra i diversi comparti economici. Guardando ad essi, arriviamo al nonprofit e
alla prima sorpresa positiva (e incongruenza statistica): gli impieghi verso le
“istituzioni sociali private” sono cresciuti del 7,7%, una performance da tigre
asiatica! A dire il vero la sorpresa è solo parziale, perché da tempo sappiamo
che negli ultimi dieci anni il credito verso il terzo settore si è più che
raddoppiato, crescendo ben più del resto degli impieghi bancari.
Ce lo hanno
spiegato dati “estemporanei” di Banca d’Italia del 2010. Qui arriva
l’incongruenza statistica, perché i dati forniti con regolarità dall’istituto
sono invece riferibili ad una sola componente dell’arcipelago nonprofit,
mancando all’appello le cooperative sociali (che è un po’ come togliere la Cina
dalle statistiche mondiali sul PIL).
Sulle
cooperative sociali, dal punto di vista della statistica ufficiale sul credito non
sappiamo nulla, o quasi. Possiamo utilizzare qualche indagine qualitativa, come
quella condotta da Aiccon per conto di UBI banca, da cui traspare un livello di
soddisfazione maggiore di quanto ci si potrebbe attendere nel rapporto con le
banche (il 21,8% è “insoddisfatto”). E che il 29,4% delle cooperative sociali
dichiara di non avere debiti, dato preoccupante - almeno in termini culturali -
per delle strutture a vocazione imprenditoriale e produttiva, mentre il 37%
prevede un livello di indebitamento stabile e “solo” il 15,8% un aumento del
fabbisogno creditizio.
D’altra parte,
un’indagine del Censis per l’Alleanza cooperativa rileva che tra le imprese
cooperative attive nel settore dei servizi sociali, è l’8,6% a denunciare
difficoltà di accesso al credito, meno di quanto avviene in generale per
l’intero universo cooperativo (9,5%).
Insomma, forse l’attenzione
del mercato creditizio nei confronti del nonprofit si sta finalmente
concretizzando in un’offerta reale di prodotti e servizi.
Altro dato da
non sottovalutare in fase recessiva e con le banche in preda all’ansia da compliance di Basilea 3 riguarda
l’andamento delle sofferenze. Nel corso del 2011 le sofferenze bancarie sono
cresciute in media del 37,2%, raggiungendo un valore sugli impieghi pari al
5,5%. Ebbene, il dato sul nonprofit (da leggersi ancora una volta come
“istituzioni sociali private”) è estremamente più positivo: la crescita
purtroppo c’è stata ugualmente ma per un 27,6% (dunque un quarto in meno) e lo
stock raggiunto ammonta al 4,3% (circa un quinto in meno).
Sono numeri
importanti, che possono finalmente contribuire a spostare l’attenzione degli
analisti dei rischi creditizi verso le organizzazioni nonprofit e le loro
specificità. E aiutare così a colmare il vero gap: ad oggi infatti solo lo 0,5% del credito bancario va al
nonprofit, otto volte in meno del contributo del settore al PIL.
Anche per il nonprofit
passerà il ritorno della finanza al servizio dell’economia reale.
di Alessandro Messina (@msslsn)
in Profittevole, rubrica per Vita
agosto 2012