Il microcredito in salsa italiana è in
via di definizione. Diverse le tessere ancora mancanti al mosaico normativo e
regolamentare in fieri: caratteristiche
dei finanziamenti, dei soggetti erogatori operanti in deroga (cioè non
bancari), dei beneficiari, delle attività di tutoraggio. Su tutto questo - e
non è poco - manca la parola finale del Ministero dell'Economia, che è delegato
dalla legge (si tratta del dlgs 141 del 2010) ad emanare un apposito decreto
attuativo.
Ma qualcosa di significativo comincia a
delinearsi per il nonprofit. Che sarà coinvolto nel processo di gestione del
microcredito in due diversi possibili ruoli: il primo, che lo chiama in causa
implicitamente, come soggetto tutor
dei finanziati; il secondo, con un esplicito riconoscimento attribuito dalla normativa,
proprio come erogatore di credito.
Con riferimento al primo aspetto, l’articolo
111 del nuovo Testo unico bancario, infatti, stabilisce che non può parlarsi di
microcredito senza che i prestiti “siano accompagnati dalla prestazione di servizi ausiliari
di assistenza e monitoraggio dei soggetti finanziati” oppure, nel caso del
credito alle famiglie, di “servizi ausiliari di bilancio familiare”.
L’esperienza diretta ci dice che spesso sono proprio i soggetti nonprofit a
svolgere queste attività: dalle 40 associazioni e fondazioni anti-usura
operanti in Italia ai gruppi di volontari ex bancari, dalle piccole realtà
associative promosse da giovani del territorio alle reti collegate a parrocchie
e diocesi. Non si tratta solo di un escamotage per tenere bassi – o nulli – i
costi dell’operazione, ma anche e soprattutto di valorizzare quelle capacità
relazionali, di tessitura sociale, di cui il nonprofit è ricco serbatoio.
L'altro ruolo che potrà avere il terzo
settore nel nuovo microcredito italiano è ancora più dirompente, almeno in
potenza, e riguarda la possibilità di essere protagonisti dell'offerta di
prodotti di credito. Ciò attraverso due diverse opzioni. La prima riguarda le
cooperative, che potranno essere costituite proprio per svolgere attività di
microcredito e in quanto tali potranno erogare finanziamenti tanto alle
microimprese (fino a 25 mila euro) quanto a “persone fisiche in condizioni di particolare
vulnerabilità economica o sociale” (fino a 10 mila euro). Di fatto, assisteremo
ad un rilancio della storica funzione - aggiornata - delle Mutue Auto Gestione,
le Mag, che hanno fondato il movimento della finanza etica nel nostro paese. La
seconda opzione nasce da un recente orientamento del legislatore, che sembra
voler consentire a “soggetti
giuridici senza fini di lucro” - associazioni e fondazioni - di finanziare le
persone fisiche (sono dunque escluse le microimprese) “a tassi non
remunerativi, adeguati a consentire il mero recupero delle spese sostenute dal
creditore”.
Letta in chiave di sussidiarietà, seppur
con diversi e discutibili vincoli, si delinea la strada che potrebbe consentire
all’inclusione finanziaria di entrare finalmente nelle politiche di welfare. Attraverso
l’offerta nonprofit di un prodotto nuovo con modalità originali, che potrà
essere aggiuntiva o - forse meglio - integrata nell’offerta di altri e più
tipici servizi di “inclusione sociale” (verso anziani, giovani, migranti ecc.).
I problemi aperti non sono pochi: chi finanzierà una nonprofit per fare
microcredito (occhio ai “tassi non remunerativi”)? come? perché? qual è il
modello di business nonprofit per il
microcredito? In ogni caso, si apre una considerevole opzione operativa e
strategica per quel terzo settore che ha sempre voluto innovare mercati e
processi e produttivi.
L’occasione di farlo anche nel campo del credito è a
portata di mano. Servirà visione, capacità di fare le giuste alleanze (anche
scegliendo con accuratezza dentro il mondo bancario), una mentalità
imprenditoriale pura. Perché, come scriveva Cechov, “il credito è un fuoco”.
Non ci si scherza. Ma può anche diventare rivoluzionario.
di Alessandro Messina (@msslsn)
in Profittevole, rubrica per Vita
luglio 2012