Roma, Scalo di San Lorenzo, opening party dell’Hub. Si discute di come finanziare l’innovazione sociale.
Gamil gira il mondo. Alla ricerca dei trilionari. Dice che i soldi vanno cercati lì dove ce ne sono tanti. Lui sa dove trovarli, i trilionari, perché ci ha lavorato insieme a lungo. A lui aprono la porta. Lui sai come parlargli.
Mattias ha invece un sogno: replicare in Italia il modello svedese della banca senza interessi, la JAK. Per riuscirci, prova a coinvolgere nel progetto persone che possano unire le proprie limitate risorse, convinte di agire per il cambiamento.
Incontrandolo, mi ha un po’ ricordato Maurizio, amico che 17 anni fa batteva instancabilmente le periferie romane per spiegare che “l’interesse più alto è quello di tutti”. Raccoglieva le quote di capitale per far nascere Banca Etica. Poche le competenze finanziarie, per quelle c’era tempo, ma infinita dose di entusiasmo e passione civica, la vera urgenza sua e di chi lo ascoltava.
Inevitabile la riflessione sul rapporto tra denaro e “fare bene”. Due modelli si confrontano. Lo stile dei pionieri della cooperazione che credono nell’unione dei piccoli per incidere. E il nuovo mecenatismo dei trilionari del terzo millennio, con tante risorse da condizionare i destini di interi popoli.
“Bill Gates ha raccolto per scopi filantropici 700 miliardi di dollari” racconta Gamil. E poteva darne 300 alla Grecia! penso io, con la malcelata stizza di chi ha studiato Federico Caffè. “Ma noi abbiamo creato 1 milione di posti di lavoro e vogliamo arrivare a 10, tutti nei paesi poveri” spiega allora il mio interlocutore. Forse a
Gamil, che si muove freneticamente tra Londra, Parigi, New York e la California, è sfuggito il problemino che noi italiani abbiamo avuto nell’ultimo ventennio con questo tipo di programmi. Così sente di potermi persuadere: “in Italia dovete essere meno conservativi, abbassare alcuni steccati culturali, superare pregiudizi morali. Sono tante le famiglie italiane che investono somme ingenti per fare bene, ma voi non le conoscete e non sapete motivarle. Il mio lavoro è proprio questo. Convincere il trilionario che ci sono modi efficienti ed efficaci di investire il proprio denaro. Perché anche quando fa filantropia il grande imprenditore non vuole sprecare i suoi soldi”. Questo mi sembra un buon punto. Rendere efficiente la filantropia.
Gamil, che si muove freneticamente tra Londra, Parigi, New York e la California, è sfuggito il problemino che noi italiani abbiamo avuto nell’ultimo ventennio con questo tipo di programmi. Così sente di potermi persuadere: “in Italia dovete essere meno conservativi, abbassare alcuni steccati culturali, superare pregiudizi morali. Sono tante le famiglie italiane che investono somme ingenti per fare bene, ma voi non le conoscete e non sapete motivarle. Il mio lavoro è proprio questo. Convincere il trilionario che ci sono modi efficienti ed efficaci di investire il proprio denaro. Perché anche quando fa filantropia il grande imprenditore non vuole sprecare i suoi soldi”. Questo mi sembra un buon punto. Rendere efficiente la filantropia.
Ma la vera innovazione è anche sempre un po’ trasformazione sociale, oltre che economica. E allora non tutti i filantropi moriranno dalla voglia di finanziare chi un giorno potrebbe rivelarsi una minaccia alle proprie certezze, materiali e non. Torna così prepotente l’attualità del “prestito sociale”, quella forma mutualistica di gestione finanziaria che misteriosamente è ancora sconosciuta a significative porzioni dello stesso movimento cooperativo. CTM-Altromercato, il consorzio leader in Italia per il commercio equo e solidale, sazia così il 97% del proprio fabbisogno finanziario: da cooperative socie che a loro volta raccolgono il risparmio dalle persone fisiche associate . Fiducia, motivazione ideale, un po’ di know-how amministrativo: questa la ricetta per rendersi autonomi dalle banche, strada percorribile anche ai tempi di Basilea 3.
Una modalità oggi potenziata dal web: che abbatte le distanze fisiche e consente la partecipazione a tutti i “persuasi” del pianeta. Con un caveat importante: c’è il tema dell’inclusione digitale (ovvio) e quello dell’inclusione finanziaria (meno ovvio): se nel territorio non c’è qualcuno che mi dà fiducia, prestandomi denaro o anche solo offrendomi quei servizi bancari necessari a svolgere le transazioni sul web, la partecipazione ai processi finanziari collettivi sarà impossibile. Ecco la cerniera tra finanza popolare e crowdfunding. Non concorrenza, ma filiera. Utile a finanziare l’innovazione sociale. Che non disdegna la filantropia illuminata. Ma neanche può fermarsi ad attenderne l’arrivo.
di Alessandro Messina (@msslsn)
in Profittevole, rubrica per Vita
gennaio 2013