Regole per la finanza etica tra rischi e ambiguità

Come forse ricorderà chi segue questa rubrica, qualche mese fa l'Associazione Finanza Etica ha avviato un percorso per sensibilizzare le istituzioni, a partire dal nostro Parlamento, sul tema della finanza alternativa. Il primo passo è stata la presentazione di una mozione che definisce la finanza etica.

Nel mese di novembre il Governo, in Commissione Finanze della Camera, si è espresso sulla mozione (presentata dall’On. Grandi e altri). I primi dati, sorprendentemente positivi, sono che il documento è stato approvato all'unanimità dalla Commissione, con la completa accettazione della definizione di finanza etica contenuta e degli impegni che ne derivano.

Meno positive alcune precisazioni che il governo fa sul testo della mozione (comunque non modificato, lo si può leggere per intero in www.finanza-etica.org). Viene enfatizzato il ruolo dei fondi “etici” - mai citati nella mozione - ed emerge, chiara, una visione residuale (di “toppa” al sistema) della finanza etica, sulle cui finalità però la mozione è molto chiara, citando esplicitamente le Mag e la finanza cooperativa dal basso. Il governo confonde tutto in un gran calderone, nominando fondazioni bancarie e merchant bank etiche, evidenziando l’equivoco di fondo tra finanza etica e beneficenza, tra sviluppo umano e assistenzialismo, tra finanza dal basso e filantropia d’impresa. E’ anche evidente un’interpretazione ristretta dell'idea di finanza etica, concepita soltanto in funzione di programmi di cooperazione internazionale ed eludendo il chiaro riferimento che nella mozione si fa allo sviluppo locale, a partire dalle aree difficili del nostro paese (grandi città, mezzogiorno).

A questo punto si tratta di capire come arricchire il percorso culturale del movimento della finanza etica, condividendo una strategia di avvicinamento alle istituzioni, senza però mettere a repentaglio l'identità e la forza delle nostre esperienze e dei principi di riferimento. E’ chiaro che il punto cruciale sta nel come evitare strumentalizzazioni da parte di un governo che, in più occasioni, ha dimostrato di saper tradurre gli input della società civile in output “abominevoli” (si pensi a come dalla tobin-tax si è arrivati alla de-tax).

Qualcuno non esita a mettere in discussione perfino l’utilità di cercare un dialogo con questi interlocutori. Ma forse, quando si tratta di affermare principi, la posta in gioco va oltre gli equilibri e le particolarità contingenti. Il dibattito, inevitabilmente, è aperto.


di Alessandro Messina

per Carta, Rubrica Affari Nostri, gennaio 2004