L’anno dell’etica d’impresa…

E’ stata tra le priorità del semestre italiano di presidenza Ue e anche per questo l’etica d’impresa ha avuto nel 2003 il suo boom, con banchieri in prima fila a vantare nuovi principi e filosofie e qualcuno della società civile (e dei sindacati) un po’ troppo lesto ad accodarsi. 


Eppure l’anno appena trascorso verrà ricordato nelle pagine di storia economica per la crisi Fiat e i crack Cirio e Parmalat. Tutti caratterizzati in origine da un inceppamento del processo produttivo ma esplosi soprattutto per occultamenti di notizie, collusione delle banche, inefficacia (e corruzione) dei sistemi di controllo. 
L’economia italiana è in una crisi strutturale di competitività, di managerialità, e - ora è chiaro - anche di legalità. E a nulla serviranno le ricette colbertiane di Tremonti - come i dazi contro la Cina - se non si concepisce un nuovo rapporto tra imprese, società e istituzioni pubbliche. Occorrono non soltanto una nuova etica e cultura d’impresa - quanto mai necessarie - ma anche concrete scelte di investimento in ricerca e sviluppo, nel settore dell’istruzione, maggiore trasparenza nei mercati finanziari e nel rapporto tra banche e gruppi industriali.
Ciò che accade infatti è che la finanza è sempre meno strumento al servizio dell’economia reale e continua invece a girare su se stessa: il 50% delle operazioni di fusione e acquisizione realizzate in Italia nel 2003 ha avuto banche per protagoniste, le stesse che poi non hanno remore a sostenere con massicci investimenti imprese in crisi, perché coinvolte nei loro capitali (proprio come nei casi Parmalat e Cirio).
Poi si sente dire nei salotti televisivi (ma anche in qualche circolo di partito) che chi ha investito nei titoli di Collecchio “sotto sotto” se lo è meritato quel crack…se vuoi giocare col fuoco è normale che prima o poi ti scotti. 

Ma ragioniamo: c’è un modello che non concede alternative. La pensione? privata. La ricchezza? finanziaria. I risparmi? in Borsa. E’ così che si costruisce il parco buoi, la mandria di risparmiatori che - storditi come pugili - seguono i consigli di radio e televisione su come investire i loro soldi. Non ci si può aspettare di tirare su intere generazioni a Mibtel e NYSE e poi chiedere loro (e ai top manager cui si rivolgono) prudenza, o meglio ancora etica.
E poi è il caso di smetterla di invocare l’etica - concetto alto e ambizioso - quando ciò che manca è deontologia, professionalità, legalità. Sembra di sentire Berlusconi che invoca la par condicio. Sembra?


di Alessandro Messina
per Carta, Rubrica Affari Nostri, gennaio 2004