Uno spettro si aggira per l’Europa. Il già nocivo governo italiano ha inserito tra le priorità del semestre europeo la responsabilità sociale delle imprese. Si tratta di materia complessa e dalle molte sfaccettature, che negli ultimi anni ha mobilitato già Onu (con l’insoddisfacente Global Compact) e Commissione europea, che ha prodotto sul tema un poco migliore Libro verde.
Il punto è che i nostri pataccari della politica - Maroni in testa - spacciano per azione culturale l’ennesimo tentativo di liberare i capitali dai controlli di governi e sindacati. Concedendo alle imprese - meglio se multinazionali - di scegliere come e su cosa darsi delle regole (che non si provi a parlare di vincoli). Al modesto prezzo di un po’ di beneficenza.
Proliferano così i convegni su etica ed economia, finanza etica, impresa sociale ecc. promossi da gatti e volpi varie del business: dalla finanza assetata di rifarsi un’immagine (con Banca Intesa, tra le prime banche armate italiane, in prima linea), a Confindustria e Assolombarda, dal Sole24Ore al suo surrogato nonprofit Vita.
Ancora una volta, dunque, la sfida per il terzo settore sano è quella di distinguersi per messaggio culturale e pratiche concrete. Di questo si è parlato all’incontro della campagna Meno beneficenza più diritti, tenutosi il 9 luglio a Roma. E anche di questo si parlerà a Bagnoli nella tre giorni L’impresa di un’economia diversa (5-7 settembre, www.sbilanciamoci.org).
di Alessandro Messina
per Carta, Rubrica Affari Nostri, luglio 2003