E’ in via di
completamento il quadro regolamentare per il microcredito. Si tratta di un
processo avviatosi oltre quattro anni fa, con la riforma del Testo unico
bancario (TUB) dell’agosto 2010, quando il legislatore italiano ha definito per
legge ciò che nel mondo è inteso genericamente come il finanziamento di piccoli
importi a persone che non trovano accesso al credito per la realizzazione dei
propri progetti di lavoro o di vita.
L’articolo 111 del TUB ha fissato un tetto (fino a 25 mila euro per i prestiti finalizzati ad attività produttive, fino a 10 mila per il soddisfacimento di bisogni sociali primari) e definito un modello di gestione (non basta il prestito, devono essere forniti servizi ausiliari, dalla formazione al bilancio famigliare). Con riferimento ai beneficiari, ha disegnato un perimetro: persone fisiche, società di persone, associazioni e cooperative per il prestito “produttivo”; solo persone fisiche in condizioni di vulnerabilità per quello “sociale”. E poi ha stabilito chi può svolgere tale attività: società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, cooperativa, aventi come oggetto esclusivo il microcredito. Per questi soggetti le operazioni di prestito sociale non devono mai essere prevalenti rispetto a quelle con finalità produttiva.
L’articolo 111 del TUB ha fissato un tetto (fino a 25 mila euro per i prestiti finalizzati ad attività produttive, fino a 10 mila per il soddisfacimento di bisogni sociali primari) e definito un modello di gestione (non basta il prestito, devono essere forniti servizi ausiliari, dalla formazione al bilancio famigliare). Con riferimento ai beneficiari, ha disegnato un perimetro: persone fisiche, società di persone, associazioni e cooperative per il prestito “produttivo”; solo persone fisiche in condizioni di vulnerabilità per quello “sociale”. E poi ha stabilito chi può svolgere tale attività: società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata, cooperativa, aventi come oggetto esclusivo il microcredito. Per questi soggetti le operazioni di prestito sociale non devono mai essere prevalenti rispetto a quelle con finalità produttiva.
La legge ha
lasciato al Ministero dell’economia e delle finanze il compito di emanare un
decreto di attuazione, giunto solo a fine anno (n. 176 del 17 ottobre 2014). Complice
la difficile fase economica, non sorprende che siano molto cresciute, nel
frattempo, le aspettative verso i benefici che il microcredito potrà portare a
cittadini e piccole imprese.
Aspettative che
in parte rimarranno deluse. Il decreto ministeriale ha infatti definito in modo
ostinatamente pignolo molti aspetti che la norma aveva solo tratteggiato. Per
motivi di spazio non si può qui entrare nel dettaglio, ma si evidenzia che le
scelte compiute dal Governo appaiono fortemente “restrittive”, con il rischio
di soffocare in culla le potenzialità e le prospettive di sviluppo di questo
nascente comparto creditizio. Troppi limiti alla platea dei beneficiari, troppe
rigidità sulle operazioni ammissibili, quel paletto sui costi del credito "sociale" che
volendo tutelare i beneficiari rischia di scoraggiare gli operatori
professionali (l’80% del tasso medio può infatti non essere “sostenibile” anche
per operatori non speculativi).
Vi sono però
degli spiragli interessanti per gli enti senza scopo di lucro. Già nella norma
primaria è stabilito che anche soggetti nonprofit potranno erogare prestiti sociali,
seppur a condizioni calmierate (“a tassi adeguati a consentire il mero recupero
delle spese sostenute dal creditore”). Il decreto riserva tale facoltà ad
associazioni con personalità giuridica, fondazioni, società di mutuo soccorso,
cooperative onlus, che svolgano il microcredito in via esclusiva o
“congiuntamente” all’esercizio di un’attività che abbia obiettivi di inclusione
sociale e finanziaria. E la questione del costo del credito è definita in modo
più puntuale prendendo a riferimento il tasso medio rilevato da Banca d’Italia
e moltiplicandolo per un coefficiente pari a 0,4, che diviene la soglia da non
superare. Poco per un’attività imprenditoriale, ma interessante per chi abbia
finalità filantropiche (e ad esempio raccolga provvista con donazioni o
prestiti a tasso zero). O anche per chi svolga questa attività in via
accessoria e strumentale rispetto ad altri servizi alla persona: non è insolito
infatti che nel lavoro di assistenza agli anziani, recupero dei minori,
integrazione dei migranti ci si imbatta in situazioni di disagio (anche)
finanziario. Ora c’è la possibilità di attrezzarsi con una risposta pronta,
consentita dalla legge e personalizzabile in base alla propria missione e alla
tipologia di utenza.
Ciò che prima si
affrontava cercando di “sensibilizzare” il direttore della banca, approccio dal
successo sempre più improbabile ai tempi dell’Unione bancaria europea, ora può
essere strutturato in una relazione professionale in coerenza col nuovo quadro
regolamentare. Dove, ad esempio, una banca può fornire provvista ad un soggetto
nonprofit che si fa carico di erogare direttamente i microcrediti.
Non che sia
cosa semplice: scriveva Cechov che “il credito è un fuoco”. Ma la sfida per
l’inclusione finanziaria merita di essere accettata. Un buon banco di prova per
il nonprofit stremato dalla crisi e in cerca di efficaci e originali risposte
ai crescenti bisogni sociali.
di Alessandro
Messina
febbraio 2015