L’impresa sociale torna
ad essere terreno di confronto politico. Tutto nasce da una
proposta di emendamento al D. Lgs. 155/2006, primo firmatario Luigi Bobba, agganciata
al provvedimento “Destinazione Italia” promosso dal Governo Letta.
L’emendamento non è passato.
Oggi Bobba è
Sottosegretario al Lavoro e alle Politiche Sociali del Governo Renzi e la sua
proposta è destinata ad essere ripresentata presto. Il tema è, tra l’altro,
fortemente dibattuto anche all’interno dei Gruppi di lavoro dell’Advisory board
per la Task Force italiana sulla Social Impact Finance, di cui si è già scritto[1].
L’approccio a questa
materia è sempre stato vittima di forti interessi materiali di pochi (la
Compagnia delle Opere su tutti), basso livello di razionalità e incompetenza di
molti (spesso a sinistra), inconsistenza del confronto politico, facile preda
di sterili ideologizzazioni.
Va ricordato che la
norma che ora si vuole modificare è stata sofferto parto di quel Governo
Berlusconi Bis (2001-2006) che passerà alla storia come uno dei peggiori della
Repubblica e su cui gravano le principali responsabilità per come la crisi
globale scoppiata nel 2007 ha travolto l’Italia. Fa una certa (triste)
impressione oggi andare a rileggere la pagina che nel 2001 la Compagnia delle
Opere acquistò sul Corriere della Sera in appoggio al neoeletto Berlusconi,
auspicando - tra l’altro - proprio una nuova legislazione a «sostegno delle
organizzazioni non profit». Sta di fatto che perfino quel ricco e potente endorsement rischiò di fallire, la legge
arrivò proprio in fine di legislatura (marzo 2006) e fu una pessima mediazione
tra poche buone idee e gli istinti animali delle peggiori corporazioni.
In sostanza, la legge
non fu né una razionalizzazione della confusa e stratificata normativa in
materia di welfare e nonprofit (come qualcuno all’inizio sperava), né tantomeno
una revisione in senso “sinceramente” neoliberista del nostro sistema di
politiche sociali. L’effetto potenzialmente dirompente della normativa in tale
direzione, cioè l’ingresso delle società di capitali nei settori nevralgici del
welfare, fu infatti sterilizzato dal mantenimento - anche per le forme societarie
speculative - del divieto di distribuzione degli utili. Nei fatti, pertanto, la
norma rimase a metà del guado, condannando l’impresa sociale a vivacchiare
senza molte prospettive[2].
I decreti attuativi
successivamente emanati da Paolo Ferrero, Ministro della Solidarietà Sociale
del Governo Prodi Bis (2006-2008) nel frattempo subentrato, furono il frutto
della consapevolezza di questi gravi limiti di fondo della legge, della
mancanza di forza politica adeguata per modificarla (il Governo cadde da lì a
pochi giorni), e della pragmatica e responsabile valutazione che sarebbe stato
comunque utile consentire un avvio sperimentale delle norme[3].
Di impresa sociale, in
seguito, si è parlato sempre meno. Sono rimasti i seminari per addetti ai
lavori e i bassissimi numeri di una sezione del Registro delle imprese
decisamente poco appetibile per chiunque. Le statistiche periodicamente diffuse
da Unioncamere (tipicamente in occasione delle Giornate di Bertinoro
organizzate da AICCON) continuano a confondere nozione “letteraria” e normativa
di impresa sociale, mettendo in un unico calderone cooperative sociali, altre imprese
nonprofit in genere e le vere e proprie imprese sociali ex lege, che sono però poche centinaia[4].
Negli ultimi mesi
qualcosa è cambiato. Sarà per il nuovo vento di privatizzazioni che ha iniziato
a soffiare da Letta in poi, sarà per la spinta - nella stessa direzione - che
viene dal G8, via Cameron, in materia di impact
finance, sarà per la totale assenza di idee di una classe politica alla
disperata ricerca di modi per segnalare la propria esistenza. Così il dibattito
ha ripreso a crescere e così è arrivata la proposta di Bobba. Quest’ultimo, già
presidente delle Acli, a lungo portavoce del Forum del Terzo Settore, vice
presidente di Banca Etica per molti anni, in teoria avrebbe tutto il background
per scrivere una riforma della materia coerente e razionale. Invece, ancora una
volta, ci si trova di fronte ad un testo che tratta solo aspetti parziali della
normativa e - si deve presumere in buona fede - sottovaluta le grandi ricadute
di tipo civilistico e fiscale delle disposizioni proposte, che appaiono almeno
un po’ “allegre”[5].
La
principale innovazione della proposta Bobba è la possibilità per l’impresa
sociale di distribuire i profitti, con un tetto analogo a quello previsto per
le cooperative. Un’innovazione in sé apprezzabile, se fosse inquadrata nel modo
giusto[6].
Invece agli estensori del testo è mancata questa lucidità. A partire dalla
previsione - sotto vari aspetti incomprensibile - che tutti i soggetti
nonprofit che svolgono “attività economica organizzata” assumano automaticamente la qualifica di
impresa sociale (con tutto ciò che ne deriva). Per arrivare ad una confusa estensione
degli ambiti di attività, insieme parziale e discrezionale.
La proposta
di emendamento, insomma, non dà - come dovrebbe - un contributo coerente in
termini di assetto dei rapporti tra terzo settore, pubblico e mercato. Non si
concentra su come qualificare i processi organizzativi, che - ben più
dell’ambito di intervento - dovrebbero distinguere l’impresa sociale (come già
distinguono le cooperative), a fronte dell’opportunità concessa di accesso ai
mercati dei capitali.
Si profila,
dunque, all’orizzonte un’ennesima occasione sprecata. Se di riforma
dell’impresa nonprofit occorre discutere è nella direzione dell’innovazione
delle forme di produzione “sociale”. Se le proposte che arrivano mirano invece
ad un appiattimento di tutte le specificità organizzative alle logiche di
mercato, addirittura nella sua perversa accezione finanziaria, occorre prendere
atto che la posta in gioco è un’altra e riguarda la sopravvivenza del welfare e
del sistema di protezione sociale che l’Italia ha finora conosciuto.
di Alessandro Messina
23 aprile 2014
[1] Alessandro
Messina, Una task force per la “finanza
d'impatto”, in Sbilanciamoci.info, 17 febbraio 2014: http://www.sbilanciamoci.info/Sezioni/capitali/Una-task-force-per-la-finanza-d-impatto-22449.
[2]
Un’analisi dettagliata della normativa e delle sue falle, tecniche e di
visione, compresa la “facile” previsione del suo fallimento si trova in
Alessandro Messina, Quale impresa
sociale? Analisi di una legge, in Lo straniero, numero 76, ottobre 2006: http://alemessina.blogspot.it/2006/10/quale-impresa-sociale-analisi-di-una.html.
[3] Per una descrizione dei decreti
attuativi, che contengono anche elementi di rilievo più generale, come le prime
linee guida con valore legale per l’Italia in materia di rendicontazione
sociale, cfr. Verso l’impresa sociale. I
nuovi decreti del 155/2006, di Alessandro Messina a Barbara Siclari, in
Impresa sociale, vol. 76: http://alemessina.blogspot.it/2008/03/verso-limpresa-sociale-i-nuovi-decreti.html.
[4] Cfr. i
comunicati stampa presenti sul sito di Unioncamere: http://www.unioncamere.gov.it/P42A2073C160S123/Imprese-sociali--5-400-dipendenti-in-meno-nel-2013-.htm.
[5] La
proposta di modifica, inserita in un prospetto sinottico che ne favorisce il
confronto con il testo in vigore, si trova qui: http://www.rivistaimpresasociale.it/rivista/item/66-cambiare-la-norma-sull-impresa-sociale-una-proposta.html.
[6] Chi
scrive ha argomentato questa ipotesi in varie occasioni. Cfr. tra gli altri
l’articolo Nonprofit. Sì ma quanto?, pubblicato
su VITA nel settembre 2013. http://alemessina.blogspot.it/2013/06/nonprofit-si-ma-quanto.html.