Nel
giugno 2013 il Primo Ministro inglese David Cameron ha annunciato la nascita
della Social Impact Investment Task Force
all’interno del G8, il cui obiettivo sarebbe catalizzare lo sviluppo del
mercato degli investimenti ad impatto sociale[1].
La Task Force è guidata da Sir Ronald Cohen, Presidente di Big Society Capital (BSC).
Quest’ultima è la banca creata da Cameron come
polmone finanziario delle sue iniziative sulla Big Society, ossia di quello che è stato il principale messaggio
conservatore della campagna elettorale poi vinta dal premier inglese nel 2010.
La Big Society è un’idea un po’
evanescente a cavallo tra ciò che in Italia chiamiamo sussidiarietà, in termini
tanto istituzionali (prima i privati, poi lo stato), che territoriali (prima il
locale, poi il centrale), e ciò che nel mondo anglosassone è – dai tempi di
Lord Beveridge – l’azione volontaria. In estrema sintesi, dunque, la Big Society poggia sui seguenti
pilastri: dare più potere alle comunità (localismo e devoluzione), incoraggiare
le persone ad assumere un ruolo attivo nelle loro comunità (volontariato),
trasferire poteri dal governo centrale a quelli locali, sostenere l’economia
nonprofit (cooperative, mutue, imprese sociali, filantropia), mantenere un
approccio aperto e trasparente all’azione pubblica (open data).
Per rendere tutto ciò concreto, Cameron ha
prima favorito lo sviluppo di intermediari finanziari chiamati Social Investment Finance Intermediaries
(SIFIs), specializzati nell’investimento sulle organizzazioni operanti nel
“social sector”. Poi, appunto, ha istituto la BSC che immette risorse in questi
stessi fondi. BSC si alimenta attraverso i cosiddetti fondi dormienti (i
depositi che nelle banche non si movimentano da più di 15 anni), che sono
stimati in oltre 400 milioni di sterline (circa 482 milioni di euro), e
attraverso il capitale versato da alcune grandi banche. Si tratta di Barclays,
HSBC, Lloyds Banking Group e Royal Bank of Scotland, ciascuna delle quali ha
versato 50 milioni di sterline (circa 60 milioni di euro).
Nata nel 2011, a
gennaio 2014, BSC ha investito circa 43 milioni di sterline in una dozzina di
SIFIs in e qualche Social Impact Bond
(obbligazioni finalizzate), selezionando investimenti unitari non inferiori a
500 mila e non superiori a 15 milioni di sterline[2].
Tornando alla Task Force (TF) istituita in seno al G8, il suo scopo è, dal sito
del governo inglese, “mettere insieme le principali figure dei governi, della
finanza, del mondo degli affari e della filantropia nei paesi del G8” e da
questa interazione dovrebbe scaturire “un insieme di raccomandazioni che la TF
proporrà ai governi nel mese di settembre 2014” (questo l’obiettivo).
In sostanza, sotto il cappello della TF si
gioca una partita – di medio termine – che potrebbe avere rilevanti ricadute
sulla cultura politica che nei prossimi anni si occuperà, all’interno delle
economie avanzate, di sistemi di welfare, di partnership pubblico-privato, di
rapporto tra finanza ed economia.
Temi tutt’altro che trascurabili. Infatti
Cameron manda a seguire i lavori una persona fidata del suo Gabinetto (Kieron
Boyle, che affianca il citato Cohen), Obama ha designato Don Graves del
Dipartimento del Tesoro (insieme ad un rappresentante del network filantropico
Omidyar), la Germania ha nominato Brigitte Mohn (Bertelsmann Foundation) e
Susanne Dorasil (Ministero per lo sviluppo e la cooperazione), la Francia ha
indicato Hugues Sibille del Crédit Coopératif, Nadia Voisin del Ministero degli
Esteri e Claude Leroy-Themeze del Ministero dell’Economia.
Il Presidente del Consiglio Enrico Letta ha
ritenuto adeguata a rappresentare l’Italia la designazione di Giovanna
Melandri, incaricata in quanto presidente di Uman Foundation. Quest’ultima è
un’associazione – a dispetto del nome – tra persone fisiche, costituita il 29
febbraio 2012, il cui scopo è “promuovere in Italia ed in Europa la cultura
della filantropia moderna e di sviluppare pratiche, anche nel nostro paese,
della filantropia organizzata, tipica dei modelli anglosassoni”[3].
La
Banca dei Regolamenti Internazionali ha recentemente studiato l’impatto dello
sviluppo finanziario sulla crescita delle economie. Ne è emerso, in generale,
che il contributo della finanza alla crescita è positivo solo fino ad un certo
punto di sviluppo dei mercati finanziari, superato il quale invece la finanza
comincia a “mangiarsi” l’economia. In particolare, poi, è stato dimostrato che
nelle economie avanzate un settore finanziario a veloce crescita penalizza la
produttività aggregata delle economie, dunque le danneggia su quei fondamentali
che poi definiscono le possibilità di sviluppo a medio termine[4].
Nulla
di nuovo per chi osserva da sette anni questa devastante crisi, iniziata come
finanziaria e cresciuta rapidamente dentro l’economia reale. Soprattutto, nulla
di nuovo per chi, come i movimenti della finanza critica, da oltre vent’anni
denuncia lo strapotere della finanza globale e la progressiva perdita di peso e
capacità di intervento delle comunità nazionali, e ormai anche di quelle sovranazionali.
Questa
rapida inchiesta sul mondo dell’impact
finance ha evidenziato la complessità e il valore dei temi in gioco, che
toccano diritti individuali e funzioni vitali di ogni democrazia.
Per
questo è necessario ricomporre uno sguardo d’insieme. Le istanze di chi chiede
una “vera” tassa sulle transazioni finanziarie vanno legate a quelle di chi
chiede la separazione tra banche d’affari e commerciali. Quelle delle piccole
banche locali e cooperative, che combattono per non restare stritolate nella
nuova Unione bancaria europea, si devono associare a chi vuole generare nuovo
impatto con gli investimenti. La battaglia per la piena trasparenza delle
transazioni finanziarie, tipica della finanza etica, deve andare insieme alle
campagne per la legalità e contro l’evasione fiscale.
Non
ci sarà innovazione sociale senza una finanza diversa. Una finanza cioè
ricondotta ai fini della società e dell’ambiente. La politica, come dimostrano
in Italia le scelte naif del Governo
Letta, non sa e non vuole pensarci. Agli innovatori sociali è chiesta questa
consapevolezza e la necessaria determinazione per rimettere la finanza al
centro delle proprie istanze.
Altrimenti
si rischia solo di prestare entusiasmo e passione ai peggiori appetiti dei
finanzieri globali. Forse ne nascerà qualche buon progetto, ma di sicuro non
saranno modificati i fattori strutturali di squilibrio tra economico e
finanziario.
di Alessandro Messina
pubblicato in Sbilanciamoci.info
17 febbraio 2014
[1] Cfr. https://www.gov.uk/government/policy-advisory-groups/social-impact-investment-taskforce.
[2] Cfr. http://www.bigsocietycapital.com/how-we-invest
[3] Dallo Statuto
dell’associazione
(http://www.umanfoundation.org/images/pdfarticoli/statuto.pdf).
[4] Stephen G. Cecchetti e Enisse Kharroubi, Reassessing the impact of finance on growth, BIS Working Papers, No
381, July 2012.