La mini Tobin che non dà fastidio alla speculazione

Dopo oltre 40 anni sembra essere giunta l’ora di James Tobin. L’economista Usa propose per la prima volta nel 1972 l’idea di una tassa sugli scambi in valute al fine di disincentivare i movimenti puramente speculativi. Oggi l’Europa si accinge a regolamentare la sua “Tobin Tax”, applicata alle transazioni finanziarie, mentre l’Italia e altri paesi UE già lo hanno fatto. Con filosofie e orientamenti ben diversi però dalle idee originarie del premio Nobel (lo vinse nel 1981).
E non potrebbe essere diversamente, considerato quanto sono cambiati mondo finanziario e politiche
fiscali negli ultimi quattro decenni. Nel 1972 dei derivati si cominciava appena a studiare la fenomenologia. Lo studio di Black e Scholes che fece poi scuola sulla determinazione dei prezzi delle opzioni è dell’anno successivo. Il crescente “smarrimento” fiscale degli stati nazionali è invece tema dell’ultimo ventennio. 

Oggi gli strumenti finanziari derivati, niente altro che scommesse sull’andamento futuro di un titolo, un tasso di interesse, una valuta, una merce, sono i padroni dei mercati: a fine 2011, nel mondo il loro
controvalore superava i 750 mila miliardi di dollari. Si tratta del cosiddetto “nozionale”, il valore cui fanno riferimento i contratti ai quali i derivati sono collegati. Di questi, circa l’80% hanno per sottostante tassi d’interesse, il 10% tassi di cambio, il resto merci e azioni. La quota di transazioni in derivati che passa per mercati regolamentati nel mondo è inferiore all’11%.
In Italia tale quota è pari allo 0,2%, e i valori del mercato sono in forte crescita: a fronte di consistenze di nozionale attorno agli 11 mila miliardi di dollari (crescita del 13% tra 2011 e 2010), i contratti si concentrano soprattutto su tassi di interesse (88% del totale, +15%), assai meno su azioni e merci (meno del 2,5% del nozionale dei derivati nel nostro paese).
 
Eppure il governo Monti ha deciso di applicare la tassa solo ai derivati sulle azioni delle grandi società, dunque solo su una fetta veramente marginale del fenomeno. Concentrandosi più sulla possibilità di reperire risorse pubbliche aggiuntive piuttosto che sulla necessità di “infastidire” il mercato. Esattamente il contrario di quanto proponeva Tobin (che pur non si occupò mai di derivati, va ricordato): non una tassa per rimpinguare i bilanci pubblici, bensì un efficace granello di sabbia nei meccanismi della speculazione.
 
Intanto, i giochini di Mussari al Monte Paschi di Siena e i sempre più frequenti allarmi della Corte dei Conti sui bilanci pubblici degli enti locali ci ricordano come la mina derivati vada disinnescata in qualche modo. Anche su questo aspetto i numeri possano essere d’aiuto a capire meglio. In Italia i contratti derivati in portafoglio dei diversi investitori ammontavano (valore di contratto, non di nozionale) a circa 221 miliardi di euro a settembre 2012, aumentati del 27% dalla fine del 2010.
 
Quasi la metà dei contratti derivati (il 46%) è in “pancia” alle banche italiane, per un valore complessivo di oltre 100 miliardi di euro. Una quota analoga è in mano ad operatori non residenti (il Resto del Mondo delle statistiche ufficiali) e si può ben presumere che si tratti delle grandi banche d’affari globali di cui sono ricche le nostre cronache. Sono spesso loro la controparte delle stesse banche italiane, delle imprese (6,7 miliardi), di assicurazioni e altri soggetti finanziari (circa 9 miliardi), dell’amministrazione pubblica, che ha una passività complessiva in derivati di circa 2 miliardi di euro, ripartiti tra amministrazioni centrali (646 milioni) ed enti locali (1,2 miliardi).
 
Sono cifre enormi, vicine alla capitalizzazione della intera Borsa italiana. Insomma, ce n’è abbastanza per affermare un sano principio di cautela nel maneggiare questi strumenti, anche da parte degli operatori specializzati, perché il potenziale danno sociale del loro utilizzo è elevatissimo. O almeno, per accogliere finalmente il vero spirito della proposta anti-speculazione di James Tobin.



di Alessandro Messina (@msslsn)



in Profittevole, rubrica per Vita

marzo 2013