Reportage da San Paolo del Brasile, tra partecipazione e nuova economia


«Agora é Lula». E’ l’ora di Lula. Questo lo slogan che a San Paolo, in Brasile, si può leggere su ogni muro e automobile (che qui sono molte, più di cinque milioni). San Paolo è la più grande città dell’America Latina, una fra le prime del mondo, una megalopoli che - con i suoi 10 milioni di abitanti - in questa fase storica sintetizza bene le sfide, le speranze e gli ostacoli del nuovo governo brasiliano.

 
Mi trovo qui con Luigi Nieri, Assessore alle Periferie e al Lavoro del Comune di Roma, per due motivi. Il primo, istituzionale, è la Conferenza di lancio di una rete di città europee e latinoamericane che si propongono di confrontare politiche e pratiche di lotta alla povertà urbana. La rete è coordinata proprio dalla città di San Paolo, è finanziata dalla Commissione europea, ed è fortemente sostenuta dal governo nazionale brasiliano, che infatti è presente alla conferenza con Lula e ben cinque ministri.
Il secondo motivo è rappresentato dal banale desiderio di conoscere meglio questo paese, di coglierne fino in fondo il clima da trasformazione politica e sociale, di approfondire le iniziative di democrazia partecipativa, di incontrare le persone che concretamente stanno realizzando tutto ciò.

Povertà urbana

L’occasione istituzionale, quella per cui mi sono portato la cravatta e mi aspetto lunghi discorsi da sbadiglio, rivela subito la mia profonda ingenuità e ignoranza su quanto sta accadendo in questo paese. La giornata di apertura prevede la partecipazione del Presidente Lula, del Sindaco di San Paolo Marta Suplicy, del Ministro per le Città Olivio Dutra. Sono tutti personaggi legati al PT, il partito dei lavoratori che da pochi mesi guida il Brasile.

Ciò che non può non sorprendere l’osservatore occidentale è la veemenza e la radicalità dei toni e dei contenuti politici espressi dalle relazioni. Lula si dimostra personaggio fortemente carismatico e ottimo oratore. Mi raccontano che solo pochi giorni prima ha tenuto a braccio un discorso di quaranta minuti davanti agli abitanti di una delle favelas di San Paolo: ha parlato della sua povertà, dei suoi ricordi di case inondate e di piedi scalzi e la gente era lì emozionata e convinta ad ascoltarlo, speranzosa che questa volta qualcosa possa cambiare veramente.

Anche nella grande sala-congressi del lussuoso hotel (di proprietà giapponese) che ospita la conferenza, Lula non cambia registro. Parla a braccio ed enuncia alcuni semplici principi, che dovrebbero essere l’abc della politica ma che a noi italiani ed europei suonano come dichiarazioni rivoluzionarie. «Combattere la povertà sarà molto più facile quando trasformeremo la fame da problema sociale a problema politico - ha detto all’inizio dopo aver salutato “le compagne e i compagni” presenti -. La responsabilità di chi governa non è amministrare, ma costruire un nuovo patto con i cittadini per la trasformazione sociale e la soluzione dei problemi». Ha poi insistito sulla necessità, per un governo come il suo, che vuole affrontare alla radice alcune criticità strutturali del Brasile, di scegliere delle priorità precise su cui lavorare, non potendo pretendere di affrontare tutti gli ampi e numerosi temi all’ordine del giorno in un paese di duecento milioni di abitanti, la cui metà è coinvolta dalla miseria. L’enfasi posta sulle priorità è un chiaro riferimento alle molte pressioni che il governo subisce da più parti, compresi i suoi stessi sostenitori (non ultimi i Sem Terra), e alle enormi aspettative che si stanno generando e che già ora - dopo pochi mesi (!) - fanno parlare qualcuno di mancato rispetto delle promesse. La realtà è che non basterebbero due mandati elettorali a far tutto ciò che sarebbe necessario per costruire in Brasile un modello di società ed economia più giusti. Un dato, comunque, sembra incoraggiante: qui si prova a rimettere le scelte al centro della politica. Lula lo ha detto chiaro: «un detenuto costa più di cinque poveri assistiti, una persona sotto al ponte costa più di una che lavora dignitosamente la sua terra. Si tratta di fare scelte». Esattamente quello che la politica di casa nostra, perfino sulla guerra e la pace, non riesce più a fare.

Anche Olivio Dutra, Ministro delle Città, riesce a sintetizzare efficacemente l’essenza di questo nuovo programma politico. «L’82% della popolazione brasiliana vive in meno del 2% del nostro territorio. Dobbiamo costruire un nuovo modello per le città, inaugurare una nuova era del Brasile anche nel rapporto territorio-città». E, a proposito della necessità di usare la partecipazione popolare per le scelte politiche e fiscali, non manca di evidenziare come «l’enormità della povertà umana del nostro paese non è superiore alla ricchezza che essa esprime». Figura non meno carismatica di Lula e forse più passionale (prima di andarsi a sedere tra gli applausi, abbraccia il “nostro” Nieri e gli regala una spilletta del PT), Dutra chiude il suo intervento con un emblematico «buona lotta a tutti».

Cosa succede a San Paolo

Perché in Brasile vi sia un Ministro delle Città lo si capisce bene dall’intervento di Marta Suplicy, Sindaco di San Paolo. «Grazie ai programmi di promozione della inclusione sociale, che prevedono politiche per l’accesso alla casa, il diritto alla salute, la creazione di cooperative e l’accesso al credito, nei due anni di nostro governo della città il tasso di abbandono scolastico è sceso del 40% e la criminalità del 10%. Siamo contenti che ora San Paolo non sia più sola in questo lavoro ma abbia al suo fianco un partner eccezionale come il governo del Presidente Lula». E l’intesa tra Marta - come qui tutti la chiamano - e Lula sembra evidente. I due si scambiano occhiate di intesa, messaggi di reciproca stima che vanno ben oltre la forma e il protocollo. Quello che si percepisce, insomma, è un vero legame di solidarietà fra coloro che qui si sentono gravare di una responsabilità così grande, che una volta tanto non fa pensare all’abuso del termine “compagni”.

Ciò che sta accadendo a San Paolo merita di essere approfondito. Questa città - che compirà i suoi 450 anni di vita nel 2004 - è al terzo anno di governo PT. I primi due anni sono stati importanti soprattutto per il lancio di un programma integrato di inclusione sociale che, coinvolgendo 250 mila famiglie e 1,2 milioni di persone, è il più grande del mondo. Il programma prevede interventi di integrazione del reddito, di istruzione, di inserimento lavorativo, di riqualificazione urbana. Il tutto caratterizzato da un approccio trasversale alla partecipazione dei cittadini per cui dal 2001 sono più di 100 mila le persone che hanno preso parte alla discussione delle scelte di bilancio dell’amministrazione comunale. La determinazione a fare di questo metodo uno strumento di lotta alla povertà e una concreta risorsa politica è data dalla creazione di un vero e proprio ufficio di coordinamento del bilancio partecipativo all’interno della macchina amministrativa.

Il meccanismo è semplice (sulla carta) e parte dalla forte convinzione di chi governa che si tratti di un investimento utile tanto ai fini di un rinnovato controllo sociale sull’operato delle istituzioni quanto a quello del consenso sull’azione di governo. Così il Sindaco, prima di portare in Consiglio comunale la sua proposta di bilancio, ne discute con i cittadini attraverso le assemblee (territoriali) di preparazione. Nel primo anno la discussione si è concentrata sui temi della sanità e della istruzione (è dato quanto spendere, si discute il come). Nel secondo anno si sono aggiunti molti altri temi: mobilità, riqualificazione urbana, cultura, programmi sociali, edilizia popolare.

E’ evidente che solo una quota del bilancio viene partecipata, ma è sorprendente come questa sia in crescita: «prevediamo nel 2003 di proporre la discussione su una quota di bilancio superiore del 37% a quella del 2002», ci ha detto Felix Sanchez, coordinatore delle attività per il Comune di San Paolo.

Un dato rilevante riguarda l’integrazione di queste opportunità di scelta offerte al cittadino con una serie di pratiche di animazione e pedagogia: laboratori di teatro dell’oppresso, discussioni interattive e gruppi di lavoro sono alcune delle metodologie utilizzate per facilitare la partecipazione convinta dei cittadini e affrontare quelle che definiscono le “vulnerabilità sociali”. Proprio per questo vengono svolte assemblee supplementari per garantire una partecipazione piena delle donne e dare opportunità di esprimersi (su temi specifici) anche ai bambini e agli adolescenti.

I primi importanti risultati di questo lavoro si vedono nelle favelas di San Paolo. Quella che abbiamo visitato insieme all’Assessore alla Casa di San Paolo, Paulo Teixeira, si chiama Heliopolis. Qui vivono 130 mila persone, e l‘intera area comincia ad essere scossa in positivo da una serie di interventi per la prima volta condivisi dalla popolazione, che vanno dalla creazione di infrastrutture (fogne, acqua, luce) al rifacimento di intere vie e case (quando queste lo permettono) a programmi di vero e proprio reinsediamento urbano che prevedono la distruzione delle vecchie e invivibili abitazioni, la costruzione di nuovi nuclei residenziali di 4-5 piani, l’assegnazione alle famiglie di questi appartamenti con meccanismo di mutuo indicizzato al reddito famigliare e tale per cui, comunque sia il reddito, dopo 25, 30, 35 anni chi prima abitava in una favela sarà proprietario di una casa. Un’idea, questa, che il governo Lula ha messo al centro della propria azione con l’obiettivo di regolarizzare tutti gli spazi occupati dalle favelas e far diventar ciascun “clandestino” finalmente “proprietario”, dando il via alla spirale positiva che è fatta di senso civico e di appartenenza, dignità individuale e famigliare, propensione a migliorare le abitazioni, garanzie patrimoniali per l’accesso al credito.

L’esperienza di Santo André

Anche a Santo André le politiche di inclusione sociale passano prioritariamente per le iniziative di riqualificazione urbana e per una soluzione del problema casa. Santo André è un comune confinante  con San Paolo, con 640 mila abitanti. Qui la Giunta è legata al PT dal 1997 e prima ancora lo era stata tra 1989 e 1992. Così la sperimentazione tanto di politiche sociali quanto di democrazia partecipativa ha qui radici più robuste che a San Paolo.

«Il principale programma - ci spiega il Sindaco Joao Avamileno - si chiama Santo André Mais Igual e prevede una serie di interventi relativi alle abitazioni, all’istruzione e all’integrazione dei redditi. Attualmente sono coinvolte 12.300 persone». Abbiamo visitato alcune delle aree toccate dal programma: agli abitanti delle favelas vengono destinati corsi di formazione finalizzati alla costruzione della propria casa, attraverso finanziamenti comunali. L’integrazione del reddito da parte della pubblica amministrazione facilita la loro decisione di abbandonare gli impieghi - sommersi, irregolari, ma pur sempre impieghi - che li occupano quotidianamente per dedicarsi alla formazione prima e all’opera edilizia poi. A completare questo tipo di interventi è arrivata da poco anche una banca dei poveri, ispirata alle esperienze di microcredito di altri paesi. Qui il “Banco do Povo de Santo André - Credito Solidario” è nato grazie al finanziamento della Commissione Europea, del Comune e di vari altri partner privati (non e for profit).

Ma ciò che caratterizza in modo forte tutti gli interventi dell’amministrazione comunale è l’enfasi posta sulla partecipazione dei cittadini. Qui il bilancio partecipativo è una delle pratiche più consolidate del Brasile, iniziato insieme all’esperienza di Porto Alegre e interrotto soltanto dalla vittoria della destra negli anni 92-97. Ne abbiamo parlato con Natalina Ribeiro, che per molti anni ha lavorato direttamente sulla partecipazione e ora ha deciso di occuparsi della “modernizzazione amministrativa”. «Il passaggio è venuto naturale. Dopo le prime e fondamentali esperienze, di tipo sperimentale, sul versante della partecipazione, ti rendi rapidamente conto che questo tipo di processi ha un futuro soltanto se accompagnati da uno snellimento della burocrazia e una effettiva trasparenza delle istituzioni». Oggi il processo di bilancio partecipativo di Santo Andrè è una realtà interessante e viva, che ha sviluppato metodologie e tecniche di gestione complete. I principi ce li riassume Natalina: «non è possibile che tutti partecipino attivamente. Il vero risultato sarebbe garantire a tutti una corretta informazione e allo stesso tempo dare la possibilità di incidere sulle scelte. A Santo André il nodo dell’informazione è cruciale: non abbiamo una televisione locale e così dobbiamo affidarci a volantini, brochure e radio comunitarie, che certo non raggiungono l’intera popolazione». Nonostante queste difficoltà si può ben dire che il bilancio partecipativo di Santo André abbia raggiunto uno stadio di quasi-maturità. Abbiamo potuto partecipare a una delle assemblee e l’impressione è particolarmente positiva per chiarezza comunicativa, rigore organizzativo, tasso di partecipazione di qualità (tutti molto attenti e concentrati) e uso quanto mai essenziale e appropriato delle nuove tecnologie: il dibattito viene verbalizzato e proiettato in diretta su uno schermo collegato ad un computer, consentendo a tutti di seguire ogni aspetto della discussione, di correggere e contestare eventuali equivoci, di avere già a fine riunione il verbale dell’assemblea. Alcune considerazioni di Natalina sembrano particolarmente utili anche a quegli amministratori che intendano avviare percorsi analoghi in contesti in cui la partecipazione sia meno sentita (come il nostro paese): «Perché la gente esca di casa e partecipi è necessario che le riunioni siano gradevoli. E che la burocrazia sia leggerissima. Per questo abbiamo introdotto la Carta della cittadinanza, una tesserina che permette la registrazione alle assemblee in tempi molto rapidi e senza la creazione di code». La tesserina ha un formato carta di credito e, dice Natalina, molti cittadini la mostrano con orgoglio nel loro portafogli.

Donne, giovani e borghesi

Insomma, in Brasile le cose si realizzano davvero. Ai programmi politici si associa una concretezza che ha pochi pari. E c’è molto da imparare. Un altro aspetto riguarda le persone che abbiamo incontrato. Quasi tutti sorprendentemente giovani (sotto i 40-45 anni) e molte, moltissime, donne in ruoli chiave. La modernità della visione politica, insieme ad una cultura diversa, passa anche attraverso questi percorsi. Ma non va sottovalutato anche l’elevato grado di preparazione che caratterizza questi nuovi quadri politici. Figli della borghesia brasiliana, abbastanza giovani per credere di poter cambiare il mondo e altrettanto maturi per avere tutte le competenze necessarie a riuscirci, queste donne e questi uomini sembrano realmente avere a portata di mano una chance storica. Come Giorgio Romano, dell’Assessorato per le relazioni internazionali di San Paolo, che in perfetto italiano ci spiega perché è fondamentale che le Olimpiadi 2012 si svolgano in questa città (sarebbe la prima in un paese del Sud del mondo). O come Beatriz Leandro che - a soli 24 anni - è passata dall’organizzazione del primo Forum Sociale di Porto Alegre del 2001 alle relazioni internazionali di San Paolo: «Grazie per essere qui in un momento così importante per il nostro paese. Ci aiutate a continuare a credere nel nostro lavoro e a trovare la forza per lottare». Che rispondereste, se non “grazie a voi”?



di Alessandro Messina
per Carta, 22 aprile 2003