Era il 22 maggio 2001 quando la Compagnia delle Opere (CdO), braccio imprenditoriale di Comunione e Liberazione, acquistava una pagina intera sul Corriere della Sera per esaltare il risultato elettorale che aveva messo Berlusconi a capo del governo e auspicare che presto si sarebbe arrivati ad una nuova legislazione a «sostegno delle organizzazioni non profit». Il comunicato era sorprendentemente firmato da personaggi politici di tutti gli schieramenti, compreso il centro sinistra, e da molti autorevoli rappresentanti del terzo settore.
Al di là della brutta strumentalizzazione politica del tema non profit, quali erano i reali interessi di una potenza economica come la CdO? Nella stessa pagina sul Corsera si poteva leggere: «Da sempre, in Italia, ospedali, università, scuole, casse di risparmio, cooperative, opere di assistenza, sono state create dal popolo per rispondere ai bisogni del popolo e finanziate con donazioni, eredità ed esenzioni fiscali. E’ possibile che oggi, in Italia, lo Stato abbia la pretesa di rispondere da solo a questi bisogni? E’ possibile che l’Italia abbia le tasse più alte d’Europa e la spesa più bassa per sanità e università? E’ possibile che il privato di pubblica utilità (conosciuto in tutto il mondo come Non-Profit) non possa essere finanziato direttamente dai cittadini?».
Nonostante la profusione di lodi e incoraggiamento alla Casa delle Libertà, la tanto agognata legislazione è arrivata solo al quinto anno di governo Berlusconi: prima con una legge delega del giugno 2005, poi con un decreto legislativo del marzo 2006, entrato in vigore all’inizio di maggio (dunque già con un altro governo in carica).
Subito dopo l’approvazione della legge delega, il Presidente della CdO, Raffaello Vignali, ha dichiarato che si tratta di «un provvedimento che mette ordine dal punto di vista legislativo al settore non profit riconoscendo pienamente la soggettività e l’autonomia di quelle realtà dotate di patrimonio e di reddito, ma che non distribuiscono utili. Questo sarà di grande impatto per il Paese, perché permette a quel dinamismo che caratterizza il non profit, di essere finalmente sostenuto nei fatti. Un passo decisivo di libertà e democrazia nel nostro Paese e un contributo per un nuovo sviluppo, che trova concordi maggioranza e opposizione».
Allo stesso tempo i portavoce del Forum del Terzo Settore, Edoardo Patriarca e Giampiero Rasimelli hanno sottolineato come «la legge apra nuove importanti prospettive al mondo imprenditoriale del non profit», ricordando tuttavia che sono state «stralciate dal testo approvato in via definitiva le norme che prevedevano agevolazioni fiscali».
Questo articolo mira - in una prima parte - ad evidenziare i grossi limiti delle norme approvate e la loro inefficacia rispetto agli obiettivi dichiarati. Presenta poi - nella seconda parte - una riflessione sull’idea stessa di impresa sociale, anche in relazione alla dicotomia profit-nonprofit, che tanto ha condizionato le politiche pubbliche degli ultimi anni.
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articolo pubblicato in Lo Straniero, n. 76 ottobre 2006
di Alessandro Messina